Il segretario di Stato americano Mike Pompeo è a Roma, dove oggi incontrerà mons. Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, e domani il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin. Alle prossime elezioni Usa si decide anche il suo futuro politico di capo della diplomazia americana. Naturalmente alcuni auspicano di rivederlo, altri vorrebbero dimenticarlo presto. Non dev’essere difficile immaginare cosa pensino nella segreteria di Stato vaticana, dopo l’articolo su First Things nel quale Pompeo ha suggerito alla Santa Sede di interrompere l’accordo con Pechino sulla nomina dei vescovi. Ma la diplomazia continua a funzionare anche quando il dialogo appare faticoso.



Pompeo non sarà solo in Vaticano. A Roma vedrà anche il presidente del Consiglio Conte e il ministro degli Esteri Di Maio. A tema il 5G, gli investimenti cinesi in Italia, la legislazione italiana in tema di golden power, tutti punti sui quali Conte dovrà fornire rassicurazioni all’alleato americano.

Ne abbiamo parlato con Carlo Pelanda, economista, esperto di strategia, molti incarichi di consulenza nelle istituzioni di esteri e difesa, già consigliere dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.



Le premesse dell’incontro di oggi in Vaticano?

Siamo tre imperi al mondo: Cina, America e Vaticano. Il nostro obiettivo – quello della Santa Sede, intendo – sono i Patti lateranensi con la Cina. Non vi piace? Capiamo i nostri problemi e non ostacoliamoci a vicenda.

E da parte Usa?

L’interesse di Pompeo è legato alle prossime elezioni americane. Buona parte della Chiesa americana è schierata con Trump, un’altra parte no: troviamo un compromesso.

Come commenta questi sviluppi dopo che Pompeo ha chiesto alla Santa Sede di non rinnovare l’accordo sui vescovi?

Nella diplomazia è normale.



Che cosa, professore?

Se voglio qualcosa da te, ti sparo, ma senza colpirti. Scrivo un articolo (su First Things, ndr) in cui in sostanza dico che stai con chi tortura i cattolici in Cina; cosa verissima, peraltro. Se vuoi che non ti spari più, mi devi dare qualcosa. Questo è l’unico motivo del viaggio a Roma di Pompeo.

C’è un’altra agenda, quella del governo. Ci saranno novità sul 5G e la politica di apertura alla Cina?

Non credo. L’impero americano ha fatto sapere quali sono i limiti, ciò che l’Italia può fare e ciò che non può fare.

Dunque il governo è preparato.

Sì. Quando c’è la firma di un importante accordo come il programma Artemis tra la Nasa e il governo italiano e l’ambasciatore Usa non si fa vedere, il segnale è chiaro. Il metodo è quello del bastone e della carota. Non consegnatevi a Pechino, e noi capiremo le vostre esigenze. Non solo l’occupazione: vi diamo anche lo sviluppo, favoriamo la vostra industria aerospaziale. È anche una mossa contro la prelazione francese.

Le elezioni incidono?

Ovviamente sì. Pompeo sa bene che un messaggio dissuasivo troppo forte perderebbe di credibilità se cadesse nel vuoto perché gli interlocutori, non solo italiani, aspettano sapere chi vince in America.

Altri segnali importanti nel rapporto bilaterale Italia-Usa?

Ce ne sono, perché il governo italiano ha dato prova di voler svoltare. 12mila militari americani sono stati ritirati dalla Germania, parte delle truppe verranno dislocate ad Aviano. Anche l’Africom potrebbe trovare base in Italia. Sono tutte “carote” importanti. L’America ha capito diverse cose. Altre le restano oscure.

Cominciamo dalle prime.

Per togliere l’Italia alla Cina, anche considerando l’influenza e l’attuale posizione del Vaticano, gli Usa hanno capito di dover spendere. Hanno anche capito che questo governo ha la forza per restare al suo posto parecchio tempo, perché il centrodestra non sembra avere nessuna volontà di governare. Dunque servono messaggi di compromesso. Infine hanno ben chiaro che l’interesse nazionale dell’Italia è di rimanere agganciata agli Usa.

Il problema è se lo ha capito chi sta al governo.

La collocazione internazionale non si discute. È anche perfettamente noto che ci sono lobby filo-cinesi molto attive. Chi sono? Tocca a voi giornalisti scoprirlo.

Quali sono, invece, le cose che restano oscure?

Anche se la burocrazia imperiale sa fare molto bene il suo lavoro, l’Italia, vista dagli Usa, è una maionese impazzita. Diversamente dai 5 Stelle, il Pd è fatto di professionisti della politica, che però sono estremamente divisi negli obiettivi. Il pur francesizzante ministro degli Affari europei, Amendola, e il ministro della Difesa, Guerini, danno prova di atlantismo e sono affidabili. Ma nel Pd c’è anche chi è in affari con la Cina e chi va in ordine sparso. Il problema che hanno gli americani molto spesso è sapere con chi parlano. Ma ce n’è uno ancora maggiore.

Quale?

Non riuscire a capire chi davvero comanda in Italia.

Non comanda il Quirinale? Dovrebbero saperlo.

Sì, ma a volte si chiedono chi veramente comandi al Quirinale. Non emerge con chiarezza, non dico a livello di intelligence ma di dialogo aperto, chi ha il vero potere di negoziare e di prendere decisioni.

Il mondo sta cambiando rapidamente. Qual è oggi la strategia degli Usa per l’Italia?

Farne il cuneo atlantico dentro l’Unione Europea.

Non è un cuneo un po’ debole?

Normalmente noi ci sottovalutiamo. In realtà la rilevanza passiva dell’Italia dopo la Brexit è formidabile. Sono in tanti ad avere ambizioni sull’Italia: Cina, Russia, Francia. A proposito: bisognerebbe portare di più l’attenzione sul reclutamento del partito francese nel nostro sistema finanziario e industriale.

Qual è il ruolo della Germania in questa partita?

È il paese più restio agli Usa ma ha cominciato a piegarsi. Piuttosto, gli Usa vedono che la Germania è molto irritata dal fatto che la Francia sta conquistando l’Italia. Infatti è dalla Germania che arrivano i rischi maggiori per il governo Conte.

Se l’Italia è così importante, cosa ne pensa l’Unione Europea?

L’Ue sta cercando di mettere in gabbia l’Italia anche e soprattutto perché ha paura, come ho detto, del cuneo atlantico.

(Federico Ferraù)