Non solo Aspi e il Ministero dei Trasporti sapevano del rischio crollo – secondo il documento in mano agli inquirenti di Genova – ma emerge un secondo dettaglio inquietante circa le origini presunte del tragedia sul Ponte Morandi: dal 2015 l’impianto di monitoraggio strutturale, ovvero i sensori montati da Autostrade anni prima, non funzionavano più perché erano stati tranciati da lavori sulla carreggiata. Stando al Tribunale di Genova, quei sensori non furono mai sostituiti e non ebbero dunque modo di segnalare le diverse problematiche che avevano portato all’ipotesi di intervenire con un progetto di retrofitting (rinforzo) alle pile 9 e 10 del viadotto sulla Valpolcevera. Secondo la Procura dunque, il documento di programmazione del rischio sarebbe stato compilato dal 2015 senza l’utilizzo necessario dei sensori, bensì solo con le prove riflettometriche: tale sistema, spiegano i giudici, «non era sufficiente a capire le reali condizioni del Morandi». La spiegazione è data sul risparmi per i costi di gestione, ma la procura si chiede ulteriormente: «perché nonostante i sensori fossero rotti e ci fosse un unico sistema di monitoraggio, senza nemmeno entrare nei cassoni, il “rischio crollo” non era stato preso in considerazione?».



DOCUMENTO SUI RISCHI: LA SVOLTA NELLE INDAGINI

Secondo un documento sequestrato dalla Guardia di Finanza nelle perquisizioni delle sedi di Atlantia (la holding che controlla Aspi) e Autostrade di mesi fa, il Ministero dei Trasporti e anche la stessa società concessionaria sapevano del rischio crollo del Ponte Morandi fin dal 2015: 3 anni prima della tragedia che costò la vita a 43 persone nel terribile 14 agosto 2018, alcuni tecnici del Mit e di Aspi pare fossero informati delle condizioni tutt’altro che ottimali del grande Ponte costruito a Genova sul Polcevera. Finora il documento era rimasto segreto ma nelle indagini che ricercano eventuali responsabilità e colpevoli dietro al crollo del viadotto Morandi – mentre intanto ieri è avvenuto il primo incidente, per fortuna con soli tre operai contusi, nel cantiere per il nuovo Ponte di Genova – è balzato agli occhi quello che potrebbe cambiare, forse radicalmente, l’impianto accusatorio: come riporta Repubblica, alle sedute del Consiglio di Amministrazione di Aspi partecipa anche un rappresentante del Ministero, di fatto il membro del Collegio sindacale ed è proprio quell’organo che ha condiviso con il cda della holding di Autostrade che condivise il documento con «indirizzo di rischio basso» per il ponte Morandi poi crollato tre anni dopo. Al momento la concessionaria non smentisce l’esistenza del rapporto svelato da colleghi di Rep, ma sostiene che il rischio fosse solo teorico.



PONTE MORANDI, MIT E ASPI SAPEVANO DEL RISCHIO CROLLO DAL 2015

In una nota emessa stamattina da Autostrade per l’Italia infatti si legge «La società non è in alcun modo disponibile ad accettare rischi operativi sulle infrastrutture. Di conseguenza, l’indirizzo del cda alle strutture operative è di presidiare e gestire sempre tale tipologia di rischio con il massimo rigore, adottando ogni opportuna cautela preventiva». Non solo, alla novità della conoscenza in dote a Mit e Aspi del rischio crollo del Ponte Morandi, Atlantia replica «Per quanto riguarda l’area dei rischi operativi, nella quale rientrava anche la scheda del Morandi, il cda di Autostrade ha sempre espresso l’indirizzo di mantenere la propensione di rischio al livello più basso possibile». Se però si guardano gli altri documenti sequestrati dalle autorità lo scorso marzo prima della retata di arresti e indagini cautelari, quel “rischio basso” non sembra poi così tanto confermato: nel “catalogo del rischio”, le note degli ingegneri recitano abbastanza chiaramente «L’opera non si riesce a tenere sotto controllo», vista l’impossibilità di monitorare gli stralli e i cassoni del viadotto». Repubblica ha poi indagato, controllando che proprio in quel 2015 (Ministro era Graziano Delrio, succeduto a Maurizio Lupi autodimessosi per il caso “Rolex”) il documento è stato sottoposto, con vaglio, ai cda di Aspi e Atlantia proprio sul progetto di restauro delle pile 9 e 10, poi crollate. Perché non si è però fatto nulla? Di certo perché considerato un “rischio basso”, ma non solo: due anni dopo la responsabilità del Ponte Morandi passa dalle Manutenzioni dirette da Michele Donferri Mitelli alla Direzione di tronco di Genova, guidata da Stefano Marigliani. I due sono entrambi indagati ora, mentre quel documento passa da “crollo” a “perdita di staticità”, un passaggio decisamente azzardato visto anche come si è concluso il tutto: interrogati in merito, scrive Rep, entrambi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

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