È una fiction ma dall’altissimo valore storico e religioso, financo giudiziario, il “processo a Ponzio Pilato” andato in scena presso Salone degli affreschi della Società Umanitaria di Milano all’interno del Palazzo di Giustizia: l’associazione culturale Piri Piri ha messo in scena, con tanto di testimoni e giudici, il “processo” al celeberrimo governatore romano della Giudea che diede il via libera alla crocifissione di Gesù di Nazareth duemila anni fa. Una rappresentazione teatrale che si avvicina ad un processo vero e proprio visto che a presiedere il tutto v’era il magistrato Oscar Magi, presidente della Corte d’appello di Milano. «Pontius Pilatus, nato nel Sannio, nel dicembre del 12 avanti Cristo, morto nel 38 dopo Cristo, quinto Procuratore della Giudea», uno dei personaggi più iconici e divisivi della storia non solo religiosa, viene posto alla sbarra per i reati di omicidio e abuso d’ufficio. È tutto finto, ovviamente, ma dietro alla rappresentazione ben messa in piedi dall’associazione culturale assieme alla Procura di Milano si scorge un finale – pardon, una sentenza – tutt’altro che scontata e “banale”. Come spiega bene Famiglia Cristiana, ad interpretare l’accusa Raffaele Martorelli, magistrato della Corte di Cassazione, mentre a difendere l’imputato c’era l’avvocato Franz Sarno: testimoni illustri tra cui Giuda Iscariota (il discepolo che tradì il Cristo), il sommo sacerdote Caifa, il Governatore della Siria Lucio Vitellio, la moglie di Ponzio Pilato, Claudia Procula e ovviamente lo stesso Ponzio Pilato (impersonato dal notaio e storico Giorgio Verola).



PONZIO PILATO, SENTENZA E PARADOSSO

Pe ri magistrati giudicanti «viene difficile valutare positivamente l’indagine condotta nei confronti di Gesù da parte del Sinedrio posto che il pronunciamento di responsabilità di Caifa nei suoi confronti finiva per basarsi unicamente sulle dichiarazioni dello stesso imputato, circostanza questa non legittima secondo la procedura in oggetto. E altrettanto illegittima risultava essere la circostanza che la procedura, quantomeno nella parte iniziale, aveva luogo di notte, pur essendo vietato, così come era vietato ogni giudizio il sabato, nei giorni di festa e durante tutta la settimana pasquale ebraica, dal 14 al 21 del mese di Nisan». Per questo motivo, Gesù non avrebbe mai potuto essere processato secondo il rito romano «in quanto non era cittadino romano e nemmeno un notabile provinciale che meritasse di un trattamento di riguardo. Era un predicatore, un profeta diventato estremamente pericoloso agli occhi dei sacerdoti del Sinedrio che non poteva invocare alcuna garanzia né di status né di census». Per questo motivo Pilato sbagliò “abusando” del suo potere di Governatore romano: pur non essendo convinto della colpevolezza del Nazareno, concludono i magistrati nel particolare “processo” avvenuto a Milano «per mandare a morte un uomo che riteneva innocente, per paura che le sue azioni potessero essere criticate dall’Imperatore, per non avere compiuto il suo dovere di proteggere la sicurezza dei territori oltremare di Roma e anche per paura di opporsi al Sinedrio, che rappresentava l’autorità della Giudea che potevano dare luogo a possibili sommosse del popolo contro di lui e contro i romani». Attenzione però, è la sentenza finale a sorprendere di più e approfondire uno dei “misteri” più interessanti a livello storico e religioso: «Ponzio Pilato rivestendo la carica di pubblico ufficiale nel pieno esercizio delle sue funzioni ometteva intenzionalmente di astenersi dal comminare la pena di morte mediante crocifissione di Gesù per evitare che la sua autorità e la sua posizione potesse essere messa a rischio sia per una possibile rimozione dall’incarico di Procuratore della Giudea da parte dell’Imperatore per mala gestio della vicenda in oggetto, sia per la possibilità di ribellioni del popolo della Giudea nei confronti delle autorità romane occupanti». La condanna per salvare se stesso: ma se si va fino in fondo alla “rivoluzione” di Gesù, una condanna per salvare se stesso che si tramuta in una salvezza dell’intera umanità. Pilato questo non lo sapeva ma rimase “incastrato” nel paradosso forse più importante dell’intera storia umana.

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