Diretta Porto Azzurro, un carcere sotto sequestro: commento live 16 settembre 2022

Il direttore del carcere Cosimo Giordano ha pagato più di altri per colpe che non ha. “Secondo me ha pagato perché era l’ultimo anello”, racconta il magistrato Fiorillo. Proprio il direttore, infatti, nonostante abbia gestito tutto con molta calma e scaltrezza, è stato trasferito. “Il 19 novembre 1987 mi accorsi che la prima notizia sul TG1 era la mia. Ero stato trasferito per incompetenza e mancanza di controllo a Torino, ad adempiere a funzioni di burocrate. La mia carriera era praticamente finita. L’unica persona che mi ha difeso durante il processo è stato proprio Tuti. Lui dichiarò che io non meritavo il mio trasferimento da Porto Azzurro”, racconta Giordano. “Ho pagato moltissimo in termini lavorativi e di salute perché ho perso anche un occhio per queste vicende. Ho dovuto fare tantissimi sacrifici. Dopo anni è stato assolto da tutti i capi di imputazione. “Dal 1987 sono uscito per due ore nel 2002. Mi sono fatto altri 15 anni. Dopo 46 anni ancora sono in semilibertà mentre tutti gli altri sono liberi”, racconta Mario Tuti. I risoltosi hanno infatti potuto usufruire dei benefici della legge Gozzini solo alla fine della loro pena. “Forse se non avessi subito il sequestro e il trasferimento, sarei rimasto tutta la vita a Porto Azzurro. Qui mi sento a mio agio, a casa mia”, conclude Cosimo Giordano.



La liberazione

Man mano che i giorni passavano, come spiega Cosimo Giordano non c’era la prospettiva e la sensazione che la soluzione potesse arrivare dall’esterno. Così, il direttore propose loro di affidarsi a vie legali, come semilibertà, per uscire dal carcere. “Ne parlammo un po’. Non che facessi affidamento sul fatto che mantenessero la parola per me e Rossi, ma per qualcuno dei miei compagni magari sì. E arrivammo alla conclusione che poteva essere una maniera per sbloccare la situazione”. A Giordano dissero: “‘Possiamo proseguire su questa strada ma solo se la soluzione viene dall’esterno’. La mia preoccupazione fu quella di far capire all’esterno cosa stava succedendo ma non fu facile. Chiamai mia moglie in una telefonata criptica e lei non capì, però capì che volevo dire qualcosa”. Così, Giordano pensò di affidarsi alla dottoressa Fiorillo: “Parlando con mia moglie mi accorsi che stava arrivando lei”. “Io e Giordano parlavamo in napoletano perché nessuno ci capiva. Dissi che dovevamo cercare delle soluzioni legali per metterli in libertà e lei, che era bravissima, mi comprese”. Furono così analizzati i fascicoli per proporre delle soluzioni alternative. Arrivarono due avvocati difensori per Tuti e gli altri e fu deciso di liberare gli ostaggi. I rivoltosi consegnarono a Giordano le armi. “Prima abbiamo liberato gli ostaggi, poi siamo scesi noi. Io e Mario Rossi per ultimi”. Una delle guardie carcerarie ricorda: “Giordano mi ha abbracciato e mi ha detto ‘Siete stati tutti molto bravi e coscienziosi’, come degli eroi moderni”. (agg. JC)



La proposta di Maurizio Papi

Al sesto giorno, scese in campo anche il sindaco Maurizio Papi, che chiese di dare ai rivoltosi l’elicottero che chiedevano per scappare. Si aprì anche una raccolta firme per chiedere allo Stato che venisse dato loro il mezzo, in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi vivi. Vennero raccolte 2mila firme, tra le quali quella della moglie di Giordano, che disse: “Libereranno 20 vite, anche se magari non ci sarà quella di mio marito”. Tra gli ostaggi, c’era anche l’educatrice e assistente sociale Rossella Giazzi: “Mi trovai nel posto sbagliato al momento sbagliato”, racconta. Mario Tuti ricorda: “Era spaventata, aveva paura di me. Cercai anche di rassicurarla, facendole dei complimenti. Avevo anche una foto dei miei figli piccoli e gliela detti per farla stare tranquilla”. Lei spiega: “Ero consapevole di essere merce di scambio, ero l’unica donna”. A lei, Mario Tuti regalò più rose: “Se uno avesse mancato di rispetto a lei, avrebbe preso una pallottola in testa direttamente”. (agg. JC)



Lo scatto di rabbia di Tuti

Le forze speciali, nel frattempo, cercavano di capire come intervenire. L’idea iniziale di entrare da alcune finestre, si rivelò impossibile. Così cominciarono a valutare l’idea di entrare dai tetti. “Da detenuto sogni la fuga, non il reinserimento. Fino a che non ti pieghi sei comunque il vincitore. Un’azione avrebbe portato alla nostra morte ma anche delle guardie se ne sarebbero salvate poche. Se lì fai esplodere qualche bomba per entrare…”, racconta Mario Tuti. Molti colleghi, spiega Luciano Baffoni, guardia carceraria, fecero muro per non far entrare le forze speciali. Li fecero desistere perché il rischio di uccisione di agenti era troppo alto. Uno degli errori fu mandare inviati Rai dalla mamma di Mario Tuti, che lanciò un appello: “Mario, cerca di fare le cose da uomo per bene quale sei sempre stato. Noi stiamo bene e ti mandiamo tanti baci”. Lui non la prese bene, come ha raccontato: “Pensai ‘Non azzardatevi a tirare in ballo mia madre’, e tirai due colpi in aria”, che sfiorarono il direttore Giordano. (agg. JC)

La richiesta agli agenti

La prima richiesta da parte dei detenuti era quella di fuggire con il blindato del direttore. I detenuti portarono poi i sequestrati in infermeria, liberando altri arrestati e chiudendo il personale nelle celle. Il carcere diventò inaccessibile, circondato di forze speciali, e il paese intero era in subbuglio. Il personale fu legato con le mani in alto e le caviglie bloccate. Gli ostaggi erano 5 civili, 7 detenuti e 16 guardie. In quel caso, quasi tutti i detenuti si sono dissociati dalla rivolta, non solo pensandolo ma anche dicendolo. Un ergastolano sardo disse: “Non avete in ostaggio 33 persone ma 36 mila detenuti in italiani”. Antonietta Fiorillo, il magistrato che condusse le trattative, tornò di corsa dalla Sardegna, dove era in vacanza. Lo Stato chiese di liberare almeno i detenuti malati e così fu, accompagnati da Luciano Buono, guardia carceraria. “Abbiamo detto, siccome ti sei comportato in maniera corretta, scendi pure”, racconta Mario Tuti. (Agg. JC)

Le prime ore dopo la rivolta

“Per prima cosa ho aperto le casse e ho preso soldi che ci sarebbero potuti servire se fossimo riusciti ad uscire. Poi mi sono rivolto verso gli uffici” racconta Mario Tuti. Come raccontano i testimoni, all’interno di Porto Azzurro c’era un regime duro ma più libero rispetto ad altri luoghi di reclusione. I detenuti durante il giorno erano liberi di circolare. L’educatore del carcere racconta: “C’era un clima di apertura e organizzazione di attività”. Il ragioniere e uno dei secondini di allora raccontano di un ottimo rapporto di Giordano con i detenuti. “Era un carcere strano perché da una parte c’erano i detenuti seri, con i loro codici d’onore, dall’altra parte c’era gente che voleva cambiare e cercava di comportarsi in modo corretto” racconta una delle guardie carcerarie. Appena Tuti arrivò, lo stesso Giordano fu rassicurato da un magistrato che gli disse che era innocuo. Oltre a Tuti, parteciparono alla rivolta altri 5 detenuti, tra cui Ubaldo Mario Rossi e 4 banditi sardi. (agg. JC)

Il direttore: “Non l’ho mai superato”

“Quei fatti non li ho raccontati a nessuno, nemmeno ai miei figli. È come se fosse il primo giorno, quel periodo non l’ho mai superato a livello emotivo. Mi chiamo Cosimo Giordano e sono stato direttore del carcere di Porto Azzurro dal 1983 al 1987”, racconta. Quell’estate erano ormai 4 anni che Giordano viveva sull’isola insieme alla famiglia e alla figlia che aveva pochi anni. Quell’estate, il turismo ha vissuto un boom, raccontano i protagonisti. “Quel martedì mattina veniva effettuata la solita partitella tra due squadre composte da detenuti. Uno si sentì male e fu accompagnato da due agenti in portineria per essere accompagnato dal medico. Una volta però raggiunta la portineria scappò all’interno con delle armi e sequestrò due agenti”, prosegue l’ex direttore. Mario Tuti, autore di vari omicidi, era un geometra appassionato di armi: durante una normale perquisizione, uccise due carabinieri. Al documentario, racconta: “Sono venuti a cercarmi con le armi e con le armi ho risposto” e ammette di essere un fascista al quale non piacevano le cose come erano finite nel 1945. In particolare, a lui non era andata giù la condanna per la strage dell’Italicus. (agg. JC)

Porto Azzurro, i ricordi dei protagonisti

“Il carcere di Porto Azzurro era considerato il carcere della speranza”, raccontano i protagonisti. Il clima era disteso, di sperimentazione. Detenuti che altrove erano considerati pericolosissimi, lì vivevano tranquilli, senza creare problemi. Tutto ciò, fino al 25 agosto 1987, quando Mario Tuti, il capo del commando, insieme ad un altro gruppo di detenuti, presero in ostaggio 33 persone. “Mi trovai in un girone infernale”, “Poteva succedere di tutto”, “La tensione la tagliavi con il coltello”, raccontano i protagonisti che in quei giorni spasmodici furono nelle mani degli assassini. (agg. JC)

Porto Azzurro, un carcere sotto sequestro: il documentario su Rai 2

Questa sera, venerdì 16 settembre, su Rai 2 va in onda il documentario “Porto Azzurro, un carcere sotto sequestro”, che racconta per la prima volta la cronaca della rivolta avvenuta all’interno dell’istituto penitenziario dell’Isola d’Elba nell’agosto del 1987: un tentativo di evasione, un gruppo di detenuti che sequestra 33 ostaggi, una trattativa durata sette giorni. Curato da Lorenzo de Alexandris e diretto da Jovica Nonkovic, scritto da Alessandro Giordano ed Emanuele Mercurio, il documentario ripercorre la vicenda attraverso preziosi filmati e immagini di repertorio e interviste esclusive ai sequestrati e al capo del commando, il terrorista nero Mario Tuti.

Il docu-film inaugura “L’Italia criminale: quando la cronaca fa la storia”, la prima collana di Rai Documentari su sette recenti episodi criminali della storia italiana, in onda ogni venerdì fino al 28 ottobre in prima serata su Rai 2.

Porto Azzurro, un carcere sotto sequestro: la vicenda del 1987

Nel 1987 il carcere di Porto Azzurro, all’Isola d’Elba, era considerato un vero e proprio modello: i detenuti erano coinvolti in attività ricreative e lavorative, volte alla riabilitazione e al loro reinserimento nella società. Il clima all’interno dell’istituto era sereno, i rapporti tra detenuti e guardie erano distesi. Il 25 agosto 1987 un gruppo di sei detenuti armati, capeggiati da Mario Tuti, irrompe all’interno della portineria dell’istituto e prende in ostaggio il direttore e gli agenti presenti: l’obiettivo è quello di impossessarsi della macchina blindata del direttore, per dirigersi al porto e tentare la fuga. Il tentativo di evasione fallisce, grazie un agente che riesce a far scattare l’allarme, e si trasforma nel sequestro di 33 persone (5 civili, 17 guardie carcerarie e 11 detenuti). Inizia così un braccio di ferro tra i sequestratori e lo Stato che durerà sette giorni. Nel documentario “Porto Azzurro, un carcere sotto sequestro” la vicenda viene raccontata dai suoi protagonisti: il direttore del carcere Cosimo Giordano, le guardie carcerarie Luciano Baffoni e Luciano Buono e l’assistente sociale Rossella Giazzi, unica donna tra i 33 ostaggi, il magistrato di sorveglianza a Livorno Antonietta Fiorillo, che gestì la trattativa, e Mario Tuti, il capo del commando, che era detenuto a Porto Azzurro per l’omicidio di due agenti di polizia e quello di un detenuto avvenuto nel carcere di Novara. La tensione di quei sette giorni viene ricordata dal direttore del Tirreno Stefano Tamburini, allora giovane cronista, e da Paolo Di Giannantonio, storico giornalista del Tg1.