Si può inventare di nuovo qualcosa che già esiste? Talvolta sì. Prendete il doposcuola, istituzione vecchia come il mondo. Un classico del nostro sistema scolastico: chi fatica sui libri si ferma a scuola, va in oratorio o in qualche aula di un patronato e prova a recuperare terreno al fianco di volenterosi insegnanti.
Prendete invece Portofranco, una realtà nata da poco più di vent’anni.
In apparenza la stessa cosa: un doposcuola dove ci sono volontari che al pomeriggio insegnano a chi a scuola non ingrana, non capisce, spesso neanche va. Nella sostanza un altro mondo: perché prima ancor di far rifiorire la voglia di studiare spesso fa rinascere l’umano.
Proprio un doposcuola “reinventato”, come documenta Fuochi accesi (San Paolo, 2022) il libro che Davide Perillo ha dedicato a questa realtà ramificata in una quarantina di sedi in Italia. Perillo ne ha visitate alcune, da Milano – dov’è nata – a Bologna, da Rimini a Napoli e ha raccontato le storie in cui si è imbattuto. Storie per certi aspetti simili, per altri molto diverse ma accomunate tutte da un’evidenza: per “andar bene” a scuola occorre essere accolti e voluti bene.
Vale per tutti ma ancore di più per gli adolescenti con storie difficili alle spalle, storie di famiglie in difficoltà, di integrazione complicata, di contesti sociali disgregati, addirittura talvolta di delinquenza…
A Portofranco centinaia di ragazzi hanno ogni giorno la possibilità di incontrare educatori, ovvero insegnanti in attività, in pensione, studenti, anche manager d’azienda, che sono lì per insegnare Dante o le equazioni ma, prima di tutto, per accogliere loro e le loro vicende, per abbracciarle, non per giudicarle. Sono lì per passione, quella passione che accende i fuochi, disposti a condividere le fatiche e anche la vita tanto da diventare, spesso, amici dei loro stessi studenti.
Un mezzo miracolo in quel deserto educativo che quasi tocchi con mano se osservi tanti giovani di oggi che stanno diventando adulti. In questo deserto che la pandemia ha reso ancora più arido c’è l’oasi di Portofranco, nata dall’intuizione che ebbe don Giorgio Pontiggia una sera di novembre del 2000 quando a tavola discuteva con altri insegnanti di come aiutare giovani in difficoltà. “Occorre partire là dove stanno i ragazzi, cioè a scuola” quindi dallo stesso luogo del suo maestro, don Luigi Giussani, che proprio a scuola aveva creato Gioventù Studentesca.
Come scrive nella prefazione il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, riportando a sua volta una frase di un ragazzo a proposito di Portofranco, il libro è una miniera “dove, lavorando, si trovano, un po’ incrostate e nascoste, piccole e grandi pepite”. Ed è così, perché in ogni capitolo, quasi in ogni pagina, c’è una storia che vale la pena conoscere e che ti verrebbe voglia di approfondire perché ti apre le porte di un’umanità magari sofferente ma ricca, ti offre uno sguardo su ragazzi per i quali lo studio diventa uno mezzo per prendere coscienza di sé stessi mentre per le loro famiglie, soprattutto quelle straniere, è un luogo decisivo per favorire una vera integrazione.
Un aspetto significativo che emerge dal libro di Perillo è che a colpirti non sono solo le storie degli studenti ma anche quelle dei loro insegnanti. Coinvolti in un’avventura che è decisiva anche per la loro vita. Non è un caso per esempio che il nome originario del Portofranco di Rimini fosse “La zattera”, visto che, come ha detto una docente a Perillo, “ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: ok, questo posto non è un rifugio per i ragazzi, è una zattera per noi professori”. Un luogo dove ritrovarsi e nel quale, guardando negli occhi i ragazzi che hai di fronte, “senti uno struggimento per loro, perché c’è qualcosa di bellissimo nella loro fragilità”.
E in fondo il motivo profondo per cui Perillo ha pensato a questo libro è, come ha scritto nell’introduzione, non solo “la bellezza di ciò che accade in quelle aule… la crescita percepibile a colpo d’occhio dei ragazzi, quando si accende la loro libertà” ma anche “il cambiamento dei volontari, anche dei più anziani, quando si rendono conto di essere lì non solo per fare ma per scoprire qualcosa di sé e del mondo. Non c’è niente di più spettacolare che vedere fiorire l’umano”. A Portofranco succede.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI