Vi è un dato molto interessante dell’attività di Portofranco a Milano: gli studenti e le studentesse che lo frequentano lo scorso anno hanno totalizzato 14mila ore di studio individuale e 34mila ore di permanenza al di fuori dello studio.
Questo è un dato estremamente significativo perché dice sia quello che sta diventando la realtà di Portofranco, sia quale sia oggi la domanda dei giovani che in questi anni si è acutizzata.
Portofranco è nato come realtà di adulti e universitari che condividono il bisogno dei giovani di imparare un metodo di studio per poter affrontare le difficoltà e gli insuccessi scolastici. Questo input iniziale rimane, anche perché è l’approccio da cui inizia per ogni ragazzo e ragazza l’avventura di Portofranco; la ragione per cui si attraversa quel lungo corridoio che conduce alle aule è il bisogno dello studio. Ma negli anni è accaduto un fenomeno interessante, e cioè che i ragazzi e le ragazze vengono a Portofranco più del doppio delle ore necessarie al recupero, e lo fanno per studiare personalmente o per trovarsi a studiare assieme a dei compagni.
In questo modo Portofranco è diventato per questi giovani un luogo dove possono stare e gestire liberamente il loro tempo. Come mai oggi è accaduto questo fenomeno? Perché un ragazzo o una ragazza non viene a Portofranco a fare la sua lezione con un volontario e poi se ne torna a casa? Come mai spesso viene per studiare da solo o per studiare con gli amici?
È semplicemente accaduto che condividendo il bisogno dello studio pian piano si è arrivati a condividere altro, a condividere la vita e le sue domande, e questo ha portato ragazzi e ragazze a scoprire l’accoglienza che segnava quel luogo, che per loro è così diventata una “casa”, come dicono molti di loro. Portofranco in questo modo ha approfondito la ragione per cui è nato: il bisogno dello studio è la punta di un iceberg, si parte da lì, perché è un bisogno emergente e chiede compagnia, ma dentro questo bisogno vi è la domanda di una condivisione della vita. I ragazzi e le ragazze che vengono a Portofranco trovano un luogo dove si sentono accolti e dove sono liberi di studiare, di parlare di sé, di affrontare assieme a degli amici o a degli adulti le loro questioni fondamentali. A Portofranco stanno bene, questo è il dato, perché trovano uno sguardo umano su di loro, direbbe Cesare Pavese “uno sguardo di simpatia totale”.
Questo che accade a Portofranco – e che lo ha trasformato, facendolo diventare da luogo di condivisione dello studio una vera e propria seconda casa dove stare con libertà – non riguarda solo i ragazzi e le ragazze che lo frequentano, ma evidenzia il bisogno di tutti i giovani d’oggi, la loro domanda più urgente.
I giovani oggi sono appesantiti dalle richieste – che talvolta diventano pretese – degli adulti, sia in famiglia sia a scuola; tutti chiedono loro di realizzare non quello che portano nel cuore ma l’immagine che gli adulti si sono fatti di loro, e spesso per il loro bene. È così che i giovani vengono oberati di un peso che diventa insopportabile e che li porta a chiudersi o nella loro solitudine personale o in quella dei loro gruppi di riferimento, più o meno “baby gang”.
In questa condizione di vita i giovani sentono in modo più acuto il bisogno di uno sguardo, il bisogno di qualcuno che li guardi per quelli che sono, che non li investa delle proprie pretese ma si fidi della loro libertà. È questo il bisogno di oggi, quello di trovare chi abbia una sensibilità per la loro umanità e l’accolga. Portofranco ha colto il bisogno di tutti, che vi siano luoghi dove vi è questo sguardo; dove lo si possa incontrare è la questione seria dei giovani d’oggi.
Dai loro rifugi escono innanzitutto per questo, perché sanno che vi è un luogo dove sono aiutati a trovare se stessi. Compito degli adulti è moltiplicare luoghi così, non luoghi dove dominano regole e la vita è regolata secondo meccanismi perfetti, ma luoghi dove vi è uno sguardo umano che si fida dello scatto della libertà. È un compito educativo di fondamentale importanza; è in gioco il destino di una generazione.
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