Se possiamo essere tutto ma non cristiani“. Si intitola così l’editoriale che Vittorio Sgarbi affida alle pagine de “Il Giornale“. Riduttivo definirlo uno sfogo, poiché intriso di una lucidità disarmante: nel senso letterale del termine, lascia senza armi coloro i quali, ispirati dal politicamente corretto, hanno deciso di spogliare dei valori cristiani la quotidianità di milioni di italiani. Ridicolizzandoli, all’occasione. Schernendoli, puntandogli il dito contro, accusandoli di strumentalizzare qualcosa che, a dire di costoro, dovrebbe restare sfera privata. Qualcuno però dimentica, e Sgarbi glielo ricorda, che questo è il Paese che per decenni è stato governato da un partito che si chiamava Democrazia cristiana. Al riguardo, l’osservazione del critico d’arte, impone una riflessione: “Ai tempi di Don Camillo e Peppone era lecito, Dc contro Pci, essere clericali e laici. Don Camillo parlava con il Cristo, Peppone esibiva la falce e il martello. Due posizioni culturali e politiche. Eppure anche la Democrazia cristiana era un partito laico che non si preoccupava di usare un aggettivo così connotato di valori religiosi, per i quali si provava rispetto e non vergogna, soggezione e non paura del ridicolo“.



SGARBI: “ANDREOTTI RECITAVA IL ROSARIO CON MADRE TERESA DI CALCUTTA”

I tempi, purtroppo, sono evidentemente cambiati. Lo dimostra il trattamento riservato a Matteo Salvini, spiega Sgarbi, costretto a subire le facili ironie di Lilli Gruber e Aldo Grasso, gente che “compatisce o guarda con ironia e sussiego Matteo Salvini per avere, con i suoi modi semplici, voluto far riferimento alla sua fede di cristiano e ai suoi valori. E ha parlato di rosario nel mese in cui era consuetudine recitarlo, maggio, il mese della Madonna“. Eppure, ricorda ancora Sgarbi, sempre l’Italia è il Paese in cui Giulio Andreotti il rosario non solo lo mostrava, ma raccontava di averlo recitato persino con Madre Teresa di Calcutta: “Madre Teresa mi prese per un braccio e mi portò in giardino a recitare il rosario. Un momento di paradiso“. Oggi, forse, Andreotti verrebbe accusato di voler capitalizzare politicamente la sua fede, di cedere alla tentazione di un populismo sempliciotto, addirittura superstizioso, sarebbe anche lui vittima di tempi che consentono tutto, ma non di dirsi cristiani. Sgarbi ne è convinto, per questo chiarisce al lettore che essere e dirsi cristiani “non è più lecito. Se ne fa una questione di buon gusto, chiamando ostentazione quelli che i musulmani fanno dieci volte al giorno. No. Da noi non si può. Dobbiamo vergognarci di essere cristiani“.



SGARBI CONTRO LA “RELIGIONE UNICA TRANSGENDER”

Il politicamente corretto si accanisce sui cristiani eppure, nota ancora Sgarbi, “nessuno irriderebbe un convertito all’Islam, o un seguace del Dalai Lama, perché fa tendenza, è chic, e lo impone la difesa delle minoranze. Così è un eroe Fedez se si scatena in favore del ddl Zan, perché fa moda, la difesa di chi abbia una condizione («discriminata») cui va garantita dignità“. Un ragionamento che al contrario non viene ammesso: sei cristiano, taci. O, per dirla alla maniera di Sgarbi, che cita a sua volta un recente articolo di Aldo Grasso contro Salvini, “se vuoi far vedere il Rosario, allora: «eh la Madona!». Come ti permetti! Torna nelle catacombe. Che volgarità!”. Nel frattempo s’avanza la pretesa di affermare una religione unica: quella transgender. Sgarbi al riguardo invita ad osservare “l’ultima campagna Gucci, in Italia, con un nero e un pakistano, vestiti in modo incomprensibile e ridicolo, e i nuovi modelli di altri stilisti in attesa che decidiamo di che sesso vogliamo essere“. Qui Sgarbi osserva con ironia e allo stesso tempo amarezza: “Una gonna non si nega a nessuno, ma che nostalgia dell’abito talare del prete, con la sottana fino ai piedi! Almeno aveva un significato spirituale, non sessuale. E, in fondo, era triste anche il richiamo di Grasso alla esclamazione, in ben altro contesto, di Pozzetto. Questo è il comportamento politicamente corretto, secondo i nuovi evangelisti“.

Leggi anche

SPILLO/ Dietro quegli endorsement a Netanyahu, l’onda lunga del ribaltone 2019