Per trent’anni non ha contato molto di che idee si era. Contava solo che ne pensavi di Silvio Berlusconi: è stato la cortina di ferro della politica italiana. O di qua o di là. Comunisti, o ex tali, lo hanno abbracciato e supportato come un vero rivoluzionario. Cattolici moderati lo hanno avversato e combattuto più di quanto odiassero Berlinguer. Socialisti puri lo hanno visto come erede di Bettino, altri come il suo carnefice. Intere famiglie politiche sono diventate una sottocategoria rispetto alla principale appartenenza da dichiarare. Silvio è o no il tuo leader?



Non è stato solo populismo, neppure una svista. Berlusconi ha modernizzato la politica e generato nel Paese una vera lotta tra simili che ha finito per spezzare ciò che in fondo era, sul piano politico, maggiormente coeso: il centro dello schieramento. Il blocco granitico che ha portato avanti il Paese fino al 1994 si è improvvisamente dilaniato sul suo nome. Fino a generare, negli anni della sua presenza in scena, balletti da un lato all’altro dello schieramento motivati, il più delle volte, dalla qualità dei rapporti con lui. Se fossi entrato nelle sue grazie avresti abbandonato amici e compagni per sederti alla sua tavola. Se lo osteggiavi finivi a sederti con i tuoi nemici pur di andargli contro.



Ora che la parabola è conclusa, la scena vuota chiede nuovi interpreti. Gli epigoni e accoliti, gli ultimi sacerdoti del suo culto, sanno che mai potranno riavere un così potente catalizzatore, e che ora riprende piede la necessità di far politica alla vecchia maniera. Liberi dalle necessità di fedeltà al partito-azienda, sono anche privi di copertura e denari. Le casse del partito squassate e l’elettorato, orfano, non correrà al voto alle sue parole.

Che fare quindi? Renzi e Calenda avevano fiutato l’aria e hanno siglato una pace silenziosa e rancorosa ma carica di significato politico. Sanno che questa è l’ora della caccia ai voti e della costruzione di un centro ampio che, senza la “pregiudiziale Silvio”, potrà aggregare anche altri, oltre a Forza Italia, che militano altrove proprio perché non più nelle sue grazie. Una folta schiera di politici di lungo corso intravvede lo spazio che si apre unendosi nel nome dei valori di centro e moderati. La centralità del riformismo liberale, unita ad una buona dose di popolarismo di ispirazione cristiana, può riportare in auge la voglia di protezione e stabilità che il ceto borghese spaventato ha riversato sulla Meloni.



È lei il vero obbiettivo che verrà “cacciato” facendo la guerra al Pd e ai 5 Stelle, per accreditarsi come moderati lontani dalla deriva massimalista di Schlein e, sul fronte di destra, con i distinguo che dal centro si muoveranno sulle prese di posizione più estremiste alle quali la pattuglia di seconde linee di Giorgia Meloni non rinuncia. Ad una parte di leghisti verrà meno la sponda del Silvio meneghino, amico di Bossi, e riemergeranno le tentazioni localiste che Silvio riusciva con la sua autorevolezza a coprire e stemperare.

Il caos nascerà pian piano e prenderà forma non appena i centristi avranno risolto la loro necessaria sintesi individuando una leadership che unisca il fronte. Ed è qui che la cosa diventa complicata. Tutti sappiamo che Renzi è il candidato principale per tentare il percorso rapido. Basterebbe rendere contendibile lo spazio politico, aggregare i centristi e uscirne leader con un congresso vero, portando la nuova formazione alle europee.

Ma lui ha oggi impegni, anche contrattuali, che possono rendergli complicato il percorso; perciò potrebbe avere la tentazione di rallentarlo e stare alla finestra, mentre il residuo di Forza Italia si dilania dall’interno. Potrebbe, ma sa bene che gli occhi potenti guardano alle elezioni della prossima primavera come ad uno spartiacque storico. In cui l’Italia deve decidere come e con chi schierarsi. E potrebbe perciò decidere che è arrivato il momento di tornare definitivamente alla politica attiva (senza viaggi e board).

Il prezzo che i centristi ex di Forza Italia sarebbero disposti a pagare, volentieri, sarebbe far traballare la Meloni e metterla sulla graticola, nel mentre lui randella gli ex compagni del Pd. A quel punto ad aprile potrebbe esserci un’accelerazione che travolge il Governo e la sua maggioranza, che finirebbe per chiudere la sua corsa pochi mesi dopo che il suo ideatore politico, Silvio, ci ha lasciati.

Del resto, sarebbe storicamente corretto che caduto lui cadano i suoi prodotti politici che solo la sua presenza teneva assieme. Come disse Luigi XV, “dopo di me il diluvio”. Non si sbagliava. I giacobini vennero pochi anni dopo. E dopo Silvio, scongelati i poli, le acque potrebbero travolgere chi su quei ghiacci ha costruito la sua fortuna. A destra come a sinistra.

Tornerà la politica, quella meno divertente e scollacciata, ma ognuno dovrà misurarsi con ciò che è. Non con l’amore o con l’odio per lui. Caduta l’ultima cortina di ferro, che oggi giace senza poter dividere più nulla, è al centro che si riversano le acque. Chi saprà navigarle avrà diritto a comandare la ciurma, ereditando, almeno in parte, la sua dote di consenso.

 

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