Caro direttore,
in questo tempo di pandemia ho avuto l’occasione di moderare il panel “Raccontare le città” della scuola di formazione promossa dalla Fondazione Costruiamo il futuro e dall’Associazione Nuova Generazione. L’incontro ha acceso i riflettori sul tema del racconto delle città e ha visto protagonisti il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, il direttore del Messaggero Massimo Martinelli e Marco Bardazzi, giornalista, già direttore della comunicazione di Eni e co-fondatore della società Bea-Be a Media Company.



La narrazione delle città è stata stravolta dalla pandemia: da un anno, dopo lustri di cavalcata trionfale, i centri urbani – e i loro paesaggi desolati – sono ormai un’immagine nitida delle conseguenze peggiori prodotte del virus. I numeri della crescita economica hanno lasciato spazio ai buchi di bilancio, mentre i grattacieli si sono trasformati da manifestazione di potenza a simbolo, altrettanto evocativo, di un modello di sviluppo messo alle corde. Tuttavia, pur diventando il negativo di se stesse, le aree urbane non hanno lasciato il centro della scena, nonostante il tentativo di dipingere l’esodo in campagna come il prossimo sogno di vita. Dal futuro delle città passa l’esito di una rinascita sociale ed economica tutta da costruire e il racconto che ne risulta è quanto mai prezioso per cogliere i primi segnali di ripresa.



Secondo l’espressione scelta da Bardazzi, è importante che per i prossimi anni si ragioni in termini di “next generation” e non di “recovery”, perché pensare di ripristinare la situazione pre-pandemia è illusorio. E già il racconto delle città è stato costretto a farlo, portandosi su una dimensione “a km 0”, “di prossimità”, spinto dalle necessità delle restrizioni a una nuova narrazione di quartiere. Lo sviluppo verticale di Milano ha dunque ceduto il passo al bisogno di ripensare il suo modello di vita, in cui è importante preservare il futuro delle relazioni e soprattutto includere chi è stato spinto ai margini.



A Roma, dopo mesi di unità durante il lockdown, l’autunno ha mostrato le ferite dei cittadini; l’amministrazione ha lavorato bene per quanto ha riguardato il soccorso alle fasce sociali più deboli, ma altri comparti degli uffici pubblici si sono bloccati. Una sfida per la capitale sarà di trovare le risorse umane per affrontare i problemi atavici che l’accompagnano da lungo tempo, dopo un anno che ha messo Roma a dura prova.

L’accelerazione del digitale successiva allo scoppio della pandemia ha inciso anche sullo sviluppo dell’ecosistema social con cui ormai ci rapportiamo da circa 15 anni. La natura delle piattaforme, capaci di sovreccitare chi le utilizza, è stata sfruttata a lungo dalla politica, ma la pandemia ha provocato una specie di cortocircuito. Da Milano alla sua regione, infatti, la classe dirigente ha fatto più di uno scivolone in preda alla necessità di comunicare sempre e in tempo reale, dovendo poi optare per uno stile più misurato. Per promuovere una politica capace di parlare con i cittadini senza disinformarli è cruciale ripartire da un’attività di formazione della classe politica a livello locale, nei quartieri e attraverso il ruolo importante dei corpi intermedi. La strada scelta dall’amministrazione locale di Roma, che ha rivendicato sui profili social dei suoi esponenti politici di maggioranza tanti piccoli successi del mandato – dalle buche asfaltate ai nuovi autobus – non è la soluzione per proporre una visione all’altezza del futuro che la società romana si aspetta. La capitale continua a correre piano rispetto a Milano perché non ha una macchina amministrativa all’altezza delle sue esigenze, anche per l’assenza di una prospettiva di crescita e di protagonismo nello sviluppo della metropoli. Questo nonostante siano emersi chiaramente a Roma e nel Lazio esempi di dirigenti ed esponenti politici di grande caratura, capaci di compiere anche in questo anno difficile un lavoro eccellente, come ha dimostrato la gestione della sanità dallo scoppio della pandemia.

Come saranno raccontate le città del futuro? È ancora presto per dire quale narrazione nascerà, ma per Milano i riflettori resteranno accesi ancora a lungo sui colpi che la pandemia ha inferto alla forza di coesione della città e ai rapporti sociali che costituiscono il semiasse della metropoli: rotto quello, è difficile andare lontano. Dalla capacità di Milano di includere in una visione nuova anche gli emarginati e lenire le ferite dei cittadini dipenderà in larga parte il racconto dei prossimi anni. A Roma, invece, è cruciale tornare ad accogliere i turisti internazionali, pena il rischio di ripiegarsi ancora di più sui suoi “vizi capitali”. L’urbe ha bisogno di aprire le porte e di accogliere nuovamente i visitatori nel suo abbraccio ricco di storia. Ché, da sola, non sa stare.

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