È una storia forte quella dell’avvocata Ines Buonora di Torino, ma comune a tanti pazienti costretti ad accedere ai pronto soccorso o ad altre strutture sanitarie, che si trovano spesso vessati da imposizioni generalizzate di mascherine e tamponi Covid. Quando sono necessari e quando si può dire no? L’ordinanza del ministro Schillaci del 28 aprile 2023 lascia troppa discrezionalità alle direzioni sanitarie locali sulle regole da adottare. Quando si entra in un ospedale o struttura sanitaria, pare di vivere ancora negli anni 2020-2021. Eppure l’emergenza pandemica è stata dichiarata finita dall’Oms a maggio 2023 e il periodico monitoraggio del Ministero della Salute ci dice che, ad oggi, i contagi si mantengono molto bassi.
Il fatto
Il caso raccontato dall’avvocata Ines Buonora in una recente trasmissione su Byoblu pone una serie di osservazioni, sollecita le autorità competenti a fare chiarezza e stimola la consapevolezza dei cittadini. Recatasi al pronto soccorso per un malore, la signora Buonora è stata insistentemente richiesta di sottoporsi al tampone Covid per avere accesso a un particolare intervento. Non avendo alcun sintomo, ha opposto un netto e reiterato rifiuto, con la conseguenza di essere trasportata nel reparto dei pazienti “sospetti Covid”. Le sarebbe stato detto che questi pazienti vengono trattati per ultimi, se non si adeguano ai protocolli aziendali. L’avvocata ha replicato che tali protocolli sono illegittimi, vessatori e discriminatori. Alla fine ha deciso di rinunciare al trattamento indicato, scegliendo le dimissioni. Nella lettera, i medici hanno scritto che la paziente “non vaccinata” rifiuta il tampone e rifiuta la cura proposta.
La sua vicissitudine è diventata oggetto di un articolato esposto, diretto al ministro Schillaci, al presidente della Regione Piemonte e ovviamente all’Ospedale. Nel documento, letto in Tv, la firmataria espone i fatti e sostiene in punto di diritto che l’imposizione del tampone Covid è arbitraria e illegittima, in quanto viola i diritti stabiliti da tutte le Carte dell’ONU, della UE, della Costituzione, dei Diritti del malato.
Norme “pilatesche”
L’ordinanza del ministro Schillaci del 28 aprile 2023 intende tutelare dal pericolo di contagio i più fragili e “fa obbligo” di indossare le mascherine a lavoratori, utenti e visitatori delle strutture sanitarie all’interno dei reparti che ospitano pazienti fragili, anziani o immunodepressi, nelle strutture sociosanitarie e socio-assistenziali e nelle residenze per anziani. L’ordinanza specifica, inoltre, che nei reparti diversi da quelli indicati “la decisione sull’utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie da parte di operatori sanitari e visitatori resta alla discrezione delle Direzioni Sanitarie, che possono disporne l’uso anche per tutti coloro che presentino sintomatologia respiratoria”. A livello regionale e locale, quel “possono” è diventato spesso un “si richiede” generalizzato, esteso a tutti al momento dell’accesso. Quanto ai tamponi Covid per l’accesso ai pronto soccorso, la decisione “è rimessa alla discrezione delle Direzioni Sanitarie e delle Autorità Regionali. Si rammenta infatti che non sussiste obbligo a livello normativo dal 31 ottobre 2022”.
Questa ampia discrezionalità ha portato a una tale disomogeneità applicativa che se ne rende conto lo stesso ministero. In data 8/9/2023 esce infatti una Circolare del direttore generale della prevenzione con le “Indicazioni per l’effettuazione dei test diagnostici per SARS-CoV-2 per l’accesso e il ricovero nelle strutture sanitarie, residenziali sanitarie e socio-sanitarie” al fine di “rendere omogenea la pratica dell’effettuazione dei test a livello nazionale”. Si tratta comunque di “indicazioni” e “raccomandazioni” che, in quanto tali, non risolvono alcuna criticità. In ogni caso per gli asintomatici è detto chiaramente che “non è indicato” alcun tampone. Succede invece, come nel caso raccontato, che o fai il tampone o subisci conseguenze negative e discriminatorie.
Il ricorso al Tar
L’ordinanza “pilatesca” del ministro Schillaci ha lasciato dunque campo libero all’imposizione arbitraria, e quindi illegittima, di obblighi che vanno a tartassare il cittadino in situazioni di particolare vulnerabilità, tanto da spingere la combattiva Associazione Avvocati Liberi (ALI) a impugnarla davanti al Tar del Lazio. Sul sito web si trova tutta la documentazione e una sezione con le risorse per quei cittadini determinati a “dire no” alle vessazioni in materia sanitaria.
Nel ricorso si evidenzia che, finito lo stato di emergenza a dicembre 2022, non si possano imporre prestazioni obbligatorie come indossare mascherine o sottoporsi a trattamenti sanitari obbligatori quali i test diagnostici invasivi. In particolare la “delega in bianco”, lasciata alle autorità amministrative locali, può portare a trattamenti discriminatori, con restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad alcuna matrice legislativa unitaria, introducendo, in una situazione di normalità, ostacoli all’uguaglianza e restrizioni fuori tempo e fuori legge.
È vero che il ministro della Sanità ha il potere di emettere “ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica” (legge 833/1978), ma la sussistenza dell’urgenza deve essere evidente e suffragata da istruttoria adeguata e congruamente motivata, aspetti che mancano del tutto in questo caso. Il Tar del Lazio, con l’ordinanza del 20/9/2023, pur rigettando la richiesta di misura cautelare, ha tuttavia riconosciuto che l’ordinanza impugnata “non sembra assistita dal requisito dell’urgenza e non è suffragata da un’istruttoria e una motivazione adeguate”. Per ALI ci sono le premesse per proseguire nella causa. Ma, visto che la norma in questione cessa la sua efficacia al 31 dicembre 2023, è opportuno che al ministero della Salute capiscano le criticità emerse e diano disposizioni chiare e motivate, in un contesto non più emergenziale, nel pieno rispetto delle Carte italiane ed europee dei diritti della persona e del malato in particolare.
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