Quando i grandi media internazionali hanno sparato l’esplosiva richiesta del premier britannico Boris Johnson di sospendere l’attività del Parlamento per evitare impicci alla “hard Brexit”, il sito dell’Economist ha mantenuto nel suo Daily Watch un vecchio Talking Point su “Chi è davvero Boris Johnson?”.
La flemma di un settimanale fondato nel 1843 e da allora bible cosmopolita del liberalismo di mercato può essere comprensibile. Del resto, “La Costituzione inglese” è stata scritta a metà Ottocento dal più grande direttore di sempre dell’Economist: Walter Bagheot. Quel libro – all’apogeo vittoriano di Britannia First – tirò le somme di due secoli di sperimentazione del più antico fra i moderni regimi liberali e dettò le linee guida politico-istituzionali a un sistema che non ha mai avuto una costituzione scritta: sovranissimo al suo interno (la moderna Gran Bretagna non è mai stata invasa o dominata da poteri esterni, né ha mai patito guerre civili) e sempre orgoglioso di poter esportare il proprio modello, ufficialmente quello delle libertà economiche e civili.
Può essere il testone ribollente di Johnson – peraltro laureato cum laude a Oxford – a disturbare veramente la secolare narrazione dell’Economist? Wait and see, calma.
Nei fatti l’export di democrazia della Compagnia delle Indie ha avuto declinazioni diverse: all’India, perla dell’Impero vittoriano, servì un personaggio del calibro di Gandhi per ottenere l’indipendenza e un autogoverno democratico. E se il Commonwealth ha perduto quasi per intero la sua rilevanza politica, la City di Londra continua a perpetrare il proprio diritto di dettar regole, di distribuire carte.
Giusto sull’ultimo numero dell’Economist, ad esempio, spicca un’analisi dal titolo sbrigativo: “Italian Politics / Time to govern, not to campaign”.
Il testo, anonimo, può anche essere sorvolato: è un centone tradotto di ritagli correnti della stampa italiana più scatenata a favore dell’estromissione della Lega dalla maggioranza di governo, ma anche della necessità di evitare ad ogni costo le elezioni anticipate.
Nei prossimi giorni – è prevedibile – le teste d’uovo di Oxbridge che monopolizzano il settimanale cominceranno l’azione di recupero del loro “collega che sbaglia” a Downing Street: che non può certo pensare di chiudere aule aperte da oltre tre secoli, quelle da cui Winston Churchill difese il mondo libero dalla minaccia nazista.
L’Italia avrà invece un ennesimo premier-nessuno, non eletto, trasformisticamente ricollocatosi al vertice di una maggioranza politica rovesciata, dopo aver ricevuto al G7 francese l’investitura diretta dal presidente degli Stati Uniti. La “costituzione inglese” non lo ha mai previsto né consentito. Non per questo l’Economist mostra dubbi: in Italia, invece, è bene sospendere la democrazia elettiva.