Ieri mattina sulla prima pagina di un quotidiano si poteva leggere: “il Quirinale non vuole levare le attenuanti per i delitti contro le forze dell’ordine e chiede cinque modifiche”. È lecito – e augurabile – pensare che si tratti di un’ennesima forzatura giornalistica. Nella democrazia costituzionale italiana il Presidente della Repubblica non può “volere o non volere” e tanto meno “chiedere” al governo di modificare un provvedimento di legge. Al di là di una normalità fisiologica di rapporti fra poteri della Stato, il Capo dello Stato può certamente respingere un decreto-legge per assenza di requisiti di urgenza: ma se c’è un’emergenza nazionale corrente è quella della sicurezza pubblica, come conferma anche l’eco prolungata delle aggressioni di Capodanno a giovani donne in Piazza Duomo a Milano.
Il Quirinale può interloquire direttamente con le Camere inviando messaggi: cioè assumendosi la responsabilità istituzionale pubblica di un’obiezione agli intenti di un governo che goda della maggioranza parlamentare. Il Presidente non può invece bloccare l’azione dell’esecutivo esprimendo – per vie informali – suoi giudizi preventivi di costituzionalità: questo è compito della Consulta, successivamente all’entrata in vigore di un provvedimento, se qualche soggetto legittimato a farlo decide di ricorrere.
Il braccio di ferro sullo scudo ai poliziotti ha luogo alla vigilia della Giornata della Memoria della Shoah, che si annuncia come un passaggio di rischio massimo (da “G8 di Genova”) sulle piazze italiane, da un anno teatro di disordini crescenti per le manifestazioni anti-israeliane. A quasi un anno dagli incidenti di Pisa, il Quirinale sembra dal canto suo insistere in un impegno di “contenimento” dell’azione delle forze dell’ordine contro i cortei della sinistra antagonista, sempre più apertamente intonati all’antisemitismo. Il 27 gennaio, fra l’altro, Sergio Mattarella è atteso ad Auschwitz, cioè lontano dalle piazze italiane, sulle quali sarà invece compito del governo – cioè delle forze dell’ordine – garantire la sicurezza.
Questo avverrà in una Giornata inevitabilmente avvolta di significati geopolitici, una settimana dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Sullo scacchiere geopolitico l’Italia ha posizioni chiare, immutate dall’insediamento del governo Meloni e sempre sostenute dalla maggioranza parlamentare. È noto che Mattarella ha visioni diverse, sia su Israele che sugli Usa di Trump. Ma – ancora una volta – non sarebbe prerogativa costituzionale sua controbilanciare la politica estera del Paese, neppure con la motivazione formale di garantire la libertà di pensiero, parola e manifestazione (che la Costituzione prevede comunque “senz’armi”, cioè in forme totalmente civili e pacifiche).
Da ultimo: fra due giorni sono in programma – a Milano e Orvieto – due importanti manifestazioni politiche, entrambe ispirate da malumori e disagi di esponenti politici di ispirazione cattolica rispetto alla leadership Pd. I media – nella loro generalità e senza accenni di smentita – ripetono che ambedue le iniziative (quella di Romano Prodi e quella di Paolo Gentiloni) godono del sostegno tacito di Mattarella, ex leader della Dc prima e della Margherita poi. Nella misura in cui lo scenario appare attendibile, il braccio di ferro sul nuovo “decreto sicurezza” difficilmente sembra poter sfuggire al sospetto di una reiterata narrazione pregiudiziale, squisitamente politica: quella della “minaccia fascista” perennemente in agguato nel Paese, dietro gli scudi di polizia e carabinieri dipinti come agenti di un nuovo “squadrismo di Stato”. Tesi forte e discutibile, comunque non inaccettabile da parte delle forze di opposizione, in un confronto democratico per definizione aperto e franco. Non accettabile, invece, dal Quirinale.
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