Forse l’unica è ricorrere all’ironia intelligente come fa Guia Soncini, su Linkiesta con il “cotechino eterno”, per capire l’Emilia-Romagna. E poi serve un po’ di storia, perché la storia dice molte cose. Non che le questioni sul tappeto non siano serie, serissime, a cominciare dall’astensione quasi strutturale che si consolida (il 53% stavolta, preceduta da molte altre astensioni). Astensione che fa sì – è bene rammentarlo a tutti i festeggianti di qualsiasi sponda politica – che chi governa in alcune Regioni oggi ha il favore solo di una minoranza, visto che la maggioranza non ha votato. Torneremo sull’astensione perché forse c’è chi, su questo tema, mente sapendo di mentire.



La storia dice che l’Emilia-Romagna, e Bologna in particolare, cambiano assetto politico e di governo solo in presenza di cataclismi socio-politici. È un fatto. Attenzione: non cataclismi climatici, come ben tre alluvioni in poco più d’un anno han dimostrato, visto che – pur nella minoranza degli elettori votanti – la maggioranza ha rieletto chi governa dal 1970. Chiunque sia intellettualmente onesto sa che le principali responsabilità sulla gestione del territorio ce l’hanno le amministrazioni locali e regionali. L’enorme urbanizzazione da decenni di certe aree vulnerabili dell’Emilia-Romagna, forse la regione idrogeologicamente più fragile d’Italia, non l’ha certo voluta Giorgia Meloni. Niente da fare, la maggioranza (della minoranza del popolo che ha votato) ha detto di non voler cambiare guida.



Un’esperta di algoritmi prova a pensare positivo, sostenendo che forse il Pd qualcosa sa fare, non paga dirne solo male, come peraltro e in privato o sui “social” fanno ogni santo giorno tantissimi militanti delusi di sinistra, uditi o letti, salvo però continuare a non voler rischiare un democraticissimo cambiamento. Questa non è fede – scrive Guia Soncini – ma “fideismo incurabile”. Le uniche certezze sono “la fisionomia del cotechino eterno, della mortadella immutabile, del tortellino primigenio… e non eleggere mai una donna”.

Del resto, Bologna e la Romagna furono per secoli papaline. Le ultime rivolte popolari autentiche contro il “potere” locale risalgono al medioevo e all’inizio del rinascimento, come chi passi a Bologna in Via del Guasto potrebbe rammentare (peraltro quest’ultima innescata nientemeno che dallo stesso Papa del tempo, contro i “Signori” Bentivoglio). Ci è voluto il cataclisma dell’unità d’Italia, per cambiare. Poi è intervenuta una dittatura, altro cataclisma socio-politico, e ci fu tanto longevo e nativo fascismo da queste parti, come ci ha rammentato il filmone militante Novecento, realizzato da un emiliano come Bernardo Bertolucci.



Alla fine, per cambiare ancora, abbattere il fascismo e dare il via ai lunghissimi anni di interminabili amministrazioni comuniste e post-comuniste, ci è voluta una guerra mondiale. Con ciò, non c’è da augurarsi alcun cataclisma socio-politico, anche se c’è chi gioca irresponsabilmente, soprattutto a sinistra, col fuoco della rivolta. Il Paese intero, Emilia-Romagna inclusa, ha già troppi devastanti problemi.

Giorgio Guazzaloca, ora lo sappiamo, seppe cogliere l’attimo fuggente di un momento di distrazione e di eccessiva autosufficienza dei “compagni”. Peraltro oggi – ma è una postuma e quindi triste ed inutile eterogenesi dei fini – tantissimi anche di sinistra rimpiangono “il Guazza” e il suo incredibile sogno, che stava per realizzarsi, della metropolitana leggera, mentre la città collassa tra cantieri infiniti, un progetto dal sapore d’inizio 900 del tram su rotaia e scoperture di vecchi canali tombati da decenni. La liturgia inclusiva del rito emiliano è comunque straordinaria: al Guazza hanno dedicato una piazzetta. Sembra diventato un loro amico.

A Michele De Pascale, il vincente delle regionali, vanno riconosciuti alcuni meriti. Non ha caricato i toni della polemica, a differenza del governatore uscente, Stefano Bonaccini, eletto, la prima volta, dalla metà di un misero 37% degli elettori e tutti i dipendenti regionali, in gran parte suoi elettori, ancora rammentano l’arroganza con cui entrò nel “Palazzo” dicendo “qui comando io”. De Pascale ha anche finalmente ammesso che la sanità e il territorio di problemi ne hanno, differenziandosi dalla narrazione bonacciniana “siamo i meglio del Paese”.

Infine l’ex sindaco di Ravenna ha applaudito al “partito dei sindaci”, che vince, includendovi anche Marco Bucci, l’ex sindaco di Genova ora governatore della Liguria. Questa cifra “depascaliana” ha pagato. Ed è vero che c’è un partito dei sindaci, gente di frontiera, spesso votata ad un vero martirio nell’affronto quotidiano dei problemi della gente. Ed è del resto dovuto al “partito dei sindaci” che non si sia potuto fare il famoso passante a nord, per risolvere la strozzatura viaria nazionale (ed europea) che è Bologna. I primi cittadini dell’area coinvolta in un progetto costato decenni di discussioni, non potevano accettare espropri sterminati, un impatto devastante e un inquinamento che oggi continua così ad affliggere Bologna (il grosso delle polveri sottili nel capoluogo le genera il sistema autostrada/tangenziale che l’attraversa).

Il Pd, così come la candidata civica Elena Ugolini, hanno più volte invocato la partecipazione popolare al voto. Ma mentre l’appello di Ugolini era sincero, ci sono dubbi che lo fosse quello del Pd. Troppo silenziosa e minimalista è stata la sua campagna elettorale. Certo, poteva esser sicuro della vittoria in base ai sondaggi, tanto da non voler alzare i toni, ma l’astensione in definitiva qui a quel partito fa comodo. Sa di poter contare ancora su uno zoccolo duro; meno votanti, più percentuale. Se si guardassero i numeri e non le percentuali, si confermerebbe che il suo consenso – con un processo di erosione secolare, invero – cala. Non abbastanza velocemente però per chi creda che l’alternanza farebbe bene a tutti, sinistra inclusa, anche per guarirla da una concezione proprietaria della Regione e della cosa pubblica.

Un imprenditore di successo ha commentato così quest’ultimo voto: qui ci vorrebbe un “bastardo politico” come Trump per cambiare. In realtà c’è già stato un simil-Trump: Matteo Salvini capeggiò le elezioni regionali del 2020, e la sinistra si spaventò. Le Sardine fecero scaltramente la loro utile comparsa, per poi sparire rapidamente. L’operazione “Salvini-Trump” non ha pagato ieri e difficilmente pagherà domani, se non altro perché qui non c’è, fin dalla seconda guerra mondiale, la cultura dell’alternanza politica che c’è negli Usa.

Per finire questa narrazione empirica, bisognerebbe comunque studiare più a fondo le ragioni della tenuta del consenso della sinistra in Emilia-Romagna. Non c’è solo la rete social-imprenditoriale-cooperativa (peraltro sottratta all’inizio, nel dopoguerra, al mondo socialista che ne fu il vero ideatore) a spiegarne il successo duraturo. E nemmeno una certa abilità nell’“ingegnerizzare” tanti processi collaterali di carriere e sostegni economici alla politica, al riparo da qualsiasi inchiesta. C’è altro e, nell’altro, c’è anche il pronto soccorso culturale, motivazionale ed elettorale che le ha dato nel tempo una parte del mondo cattolico, come avvenuto in verità anche in Umbria, in questa tornata elettorale.

A Elena Ugolini, per alcuni eroica per altri temeraria, andrebbe comunque indirizzato un grande grazie da qualsiasi sincero democratico, anche di sinistra, perché ha contribuito a mantenere effettiva la parola “democrazia”, una parola alla quale troppi si stanno disaffezionando, senza capire che prezzo un domani potremmo dover pagare per questa disaffezione.

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