Il monitoraggio sulle aspettative delle imprese per quanto riguarda il mercato del lavoro cerca di indicarci lo stato di salute generale e l’individuazione dei nodi che creano rallentamenti e difficoltà.

Le indagini Excelsior fornite con regolarità da Unioncamere con Anpal ci dicono che la salute del mercato del lavoro è ancora buona. Le imprese prevedono 382mila assunzioni per il mese di novembre e sono 1,2 milioni quelle previste nel trimestre novembre-gennaio. Si tratta di numeri di salute in quanto sono ancora superiori a quelli dello stesso periodo dell’ultimo anno pre-Covid. I dati dello stesso periodo del 2021 erano superiori, ma il forte balzo dell’anno scorso era legato all’effetto rimbalzo dato dall’attenuarsi della pandemia e dalla forte crescita registrata dal Pil.



A questo dato generale positivo possiamo aggiungere che anche nella distribuzione territoriale abbiamo un buon risultato nel Mezzogiorno. Infatti, la distribuzione territoriale delle assunzioni vede in prima posizione il nord-ovest con 124mila entrate previste, seguito dal sud e isole con la previsione di 93mila assunzioni. Seguono nord-est e poi il centro Italia chiude la classifica.



La forma contrattuale prevalente nelle dichiarazioni delle imprese è quella del contratto a tempo determinato (52,6%) ,che però perde oltre tre punti rispetto al medesimo mese dell’anno precedente. Poi i contratti a tempo indeterminato con il 20,2% e il lavoro somministrato con il 13,1%. Interessante notare che l’apprendistato rappresenta oltre il 5% superando di un punto i contratti subordinati ma non alle dipendenze.

Se fossero queste le tendenze su cui soffermarci potremmo dire che complessivamente il periodo post-Covid sta registrando una buona ripresa del mercato del lavoro compresa una buona stabilizzazione.



Aprendo una parentesi su questo punto richiamo, con un invito a vedere tutta la ricerca sul sito della Fondazione Feltrinelli, la bella ricerca fatta da Lidia Baratta sul precariato. I numeri riportati e le esperienze raccolte ci confermano in una tesi richiamata più volte anche nei nostri articoli per cui il fenomeno del precariato (lavoro a termine senza certezze di continuità) è fenomeno per larga parte dovuto a storture della Pubblica amministrazione in tutte le sue diramazioni. Il fenomeno è cresciuto in modo abnorme per i vincoli posti alla spesa pubblica nel corso degli ultimi decenni. La crescita ha creato sacche molto numerose di lavoratori precari concentrate soprattutto su Roma e nelle regioni del sud creando veri propri squilibri sociali nemmeno lontanamente paragonabili alle situazioni di lavoro povero cresciute soprattutto nei servizi privati.

Tornando ai dati Excelsior viene di nuovo evidenziato il lato negativo del nostro mercato del lavoro. La difficoltà denunciata dalle imprese per trovare le figure professionali e le competenze necessarie cresce anche in questo ultimo periodo.

Il mismatching fra domanda e offerta di lavoro riguarda quasi la metà delle ricerche (46,4%). Questo dato comporta che mediamente un’impresa impiega 3,9 mesi per soddisfare la sua ricerca. Abbiamo però professioni per cui i tempi di reclutamento superano abbondantemente il dato medio. Per specialisti in scienze della vita l’attesa è di 7,5 mesi e fra i 5 e i 6 mesi è l’attesa per molte professioni tecniche dell’industria, delle costruzioni e dell’artigianato. Sono tutte professioni che offrono oltre 10mila posti di lavoro, ma hanno una difficoltà di reperimento che è maggiore del 65% e talvolta supera il 70%.

Questi dati ci confermano che gli interventi avviati per creare anche nel nostro Paese un sistema di servizi al lavoro che facilitino l’incontro fra domanda e offerta di lavoro non hanno ancora inciso sulla realtà. Il mismatching denunciato dai dati Excelsior indica come vi sia mi modo pressoché costante una disponibilità di circa un milione di posti di lavoro che non trova un’adeguata copertura.

La risposta a questa sfida vede interventi a breve e interventi più strutturali. A breve si deve lanciare un sistema di politiche attive che si prendano in carico percorsi di upskilling e di reskilling di quanti restano ai margini perché le trasformazioni produttive hanno creato una domanda di nuove competenze. Sono i servizi al lavoro che devono diventare prevalenti verso le politiche passive di sostegno al reddito e impegnare sia i servizi pubblici che le aziende private autorizzate e accreditate per i servizi di inserimento lavorativo. La formazione erogata deve essere funzionale al posto di lavoro già individuato.

Per avviare il prosciugamento del mismatching giovanile si deve invece intervenire sul sistema di formazione professionale e sui contratti di inserimento. Le prime prove fatte in Italia di formazione professionale con il sistema duale hanno dato ottimi risultati (più dell’85% dei frequentanti hanno trovato lavoro alla fine dei corsi), ma sono ancora un fenomeno residuale. La stessa indagine Inapp riferita all’ultimo anno di mercato del lavoro mette in luce come il contratto più efficace per il lavoro giovanile è quello di apprendistato. In termini di efficacia sono l’apprendistato di primo e terzo livello quelli che hanno risultati paragonabili al sistema duale tedesco. Peccato che oltre il 90% dei contratti di apprendistato riguardino quello professionalizzante che non ha né un’efficacia confrontabile, né può essere esteso a tutti i percorsi di inserimento lavorativo dei giovani. Riformare il sistema dell’apprendistato per fare decollare il sistema duale è una sfida che ci auguriamo veda da subito l’impegno del nuovo ministro del lavoro.

Infine, vanno però ricordati gli interventi di politica industriale necessari per avere una crescita della produttività di tutto il sistema economico italiano. Senza questo risultato la lotta al lavoro povero e l’impegno a trattenere in Italia i migliori specialisti delle diverse professioni resterebbe solo un richiamo con tratti fortemente utopici.

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