Tutti ricordano i “multipli” di Andy Warhol, le serigrafie pop del genio multitasking che si moltiplicavano da sole, ma che finivano poi nuovamente replicate anche in innumerevoli manifesti in vendita ovunque. Chi non ha mai visto o posseduto un poster di Marilyn, dove già il suo volto era raffigurato nove volte, sempre lo stesso ma a colori diversi?
I multipli di questo scorcio di anni Venti, invece, spuntano su strade, vetrine, cartelloni, nessuna arte ma molta contemporaneità: sono i “Cercasi personale”, grafiche e colori diversi ma identico messaggio. «Sono il risultato di una difficile proporzione tra domanda e offerta, che gioca su due fattori: la demografia e le competenze», dice Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, ente regionale autonomo che dirige, coordina e monitora la rete pubblica dei servizi per il lavoro.
Cosa imputa a demografia e competenze, direttore?
Per la prima è semplice: ancor prima che il personale, a mancare sono le persone. Stiamo pagando il calo demografico che da troppi anni si sta registrando, a fronte di un impianto sociale e produttivo che invece s’è andato espandendo. Per le seconde, è evidente la difficoltà di incrociare le esigenze con le disponibilità. Recenti indagini hanno evidenziato che ogni cento posti di lavoro disponibili almeno 50 sono di difficile copertura per mancanza di domande e altri 25 non trovano le competenze richieste. La realtà è dura e disarmante: il problema demografico sta incidendo pesantemente nel mondo del lavoro. Nell’industria, nella manifattura le persone sono la benzina, se non ci sono…
Ma al di là delle incerte misure per incentivare la natalità, come si potrebbe intervenire?
Calibrando i flussi migratori, senza subire, ma indirizzando. In Veneto sono presenti 140 etnie, a dimostrazione che si è ancora distanti da qualsiasi “indirizzo”. In pratica, si prende chi arriva, senza alcuna disciplina, mentre servirebbero migliori relazioni con tutti i Paesi di provenienza, non per selezionare, ma appunto indirizzare verso soluzioni che possano risultare proficue sia per chi arriva, sia per chi accoglie.
Il tutto mentre i giovani italiani continuano a scegliere l’estero…
Sono quasi sempre scelte di realizzazione, della ricerca del riconoscimento di talento e capacità, di competenze, specie per i ragazzi più formati. E per riconoscimento si intendono migliori inquadramenti, anche economici, più responsabilità e più considerazione, policy che in Italia non sempre sono soddisfacenti.
Si finisce sempre per parlare di capitale umano.
Ovviamente. Il fatto è che come l’azienda si attrezza nell’approvvigionarsi delle materie prime necessarie alla produzione, così deve anche fare con il personale, un capitale necessario. Ma ogni impresa dovrebbe anche poter contare su una scuola di riferimento, come bacino dove individuare i candidati, e poi su un’academy aziendale in grado di elaborare e far crescere le competenze necessarie per la propria specialità.
Bisogna fare i conti anche con un nuovo fenomeno esploso da un anno a questa parte: gli auto-licenziamenti.
È vero, è un trend da tenere sotto controllo, dovuto sostanzialmente alla forte ripresa dei mercati: la crescita del Pil nazionale è stimata al +6,5%, dato che in Veneto sale al +6,9%. Le cessazioni per volontà del lavoratore lo scorso gennaio 2022 hanno registrato un aumento del +19% sul 2020, imputabile prevalentemente a ritardate dimissioni durante il periodo del blocco dei licenziamenti, a qualche incentivo all’abbandono delle imprese in difficoltà e all’elevato tasso di ricollocazione a un mese, che consente a molti lavoratori di trovare occasioni di impiego che più soddisfano le loro aspettative. Sono molto spesso passaggi da un’impresa all’altra, soprattutto nel manifatturiero: si scelgono le soluzioni che propongono contratti migliorativi.
Ma c’è anche chi quelle occasioni nemmeno le cerca…
Altro fenomeno, popolato soprattutto dai Neet (Neither in Employment or in Education or Training, ndr), i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in un percorso di formazione. Il 38% dei Neet di età compresa tra i 15 e i 29 anni è disoccupato e in cerca di lavoro. In quanto tali, buona parte di loro potrebbe essere già in carico ai servizi per l’impiego pubblici. Un altro 22% è composto da giovani inattivi ma potenzialmente interessati a lavorare, mentre il restante 40% non solo non cerca lavoro ma non è neppure disponibile a lavorare. Poi c’è chi non rientra in queste categorie, ed è invece caratterizzato da una visione pessimistica delle condizioni occupazionali (i cosiddetti “scoraggiati”). Le dimensioni del fenomeno sono comunque in calo: negli ultimi anni, in Veneto, il numero complessivo dei Neet è andato costantemente diminuendo, dai 129 mila del 2013 agli 89 mila del 2019, con un’incidenza che in Veneto resta ben al di sotto della media nazionale e tra le più basse d’Italia, con un valore del 14,7% a fronte del 23,3% della media nazionale e del 37,5% della Sicilia (il più alto d’Italia).
Non sarà che in questo segmento di “scoraggiati” si nasconda anche un effetto del Reddito di cittadinanza?
Se sì, è un effetto comunque marginale. I Rdc in Veneto sono circa diecimila, a fronte di 130-140 mila disoccupati e 350 mila iscritti nelle liste di disoccupazione (disoccupati + scoraggiati e altri). Io sottolineo piuttosto la necessità di regole e controlli, e ribadisco l’importanza che potrebbe avere l’integrazione tra banche dati. Prendiamo il welfare, quello sociale e quello “familiare”. La spesa per le pensioni si aggira sui 120 miliardi di euro al netto, poi ce ne sono altri 120 iscrivibili ai sostegni sociali e familiari, non tracciati nel loro complesso, per gestioni diverse e non permeabili tra le varie amministrazioni. Basterebbe che ogni erogazione fosse agganciata al codice fiscale del beneficiario e che questo dato fosse reso evidente per regolare tutto il settore.
Forse il Reddito di cittadinanza non influisce più di tanto. Resta comunque aperta la questione “navigator”.
Da rivedere anche loro insieme a tutto il pacchetto-Rdc. Il problema è che queste figure professionali sono state appoggiate ai nostri Centri per l’impiego, ma in diretta dipendenza dall’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, agenzia commissariata, vigilata dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Una situazione difficilmente gestibile. Oggi molti navigator (in Veneto erano 142) sono stati assorbiti dai Centri, attraverso un concorso, e non sono stati sostituiti. Comunque, il loro contratto scadeva il prossimo 30 aprile.
S’era molto discusso anche degli scarsi risultati degli stessi Centri per l’impiego.
Da gennaio del 2019, però, c’è stato un deciso cambio di passo. In Veneto operano 39 Centri oltre ad altri quattro punti periferici, con circa 600 funzionari che ogni mese cercano di rispondere a 12 mila nuovi disoccupati, ognuno dei quali viene assegnato a un operatore di riferimento. Abbiamo istituito anche un account manager per le imprese. La situazione è questa: ogni mese ci sono seimila posti di lavoro disponibili, e di quei 12 mila disoccupati che dicevo il 30% viene ricollocato entro tre mesi. Anche in piena pandemia, nel 2020, siamo riusciti a far assumere trecento persone.
Veneto Lavoro fornisce regolarmente strumenti e analisi per “leggere” la situazione. Attualmente quali sono i dati?
Nonostante lo sblocco dei licenziamenti, registriamo la crescita dei contratti a tempo indeterminato, che a gennaio mostrano un saldo positivo per 6.200 posizioni lavorative e un aumento delle assunzioni del 3% rispetto al periodo pre-pandemico di gennaio 2020 e del 58% nel confronto con il 2021. Il calo del tempo determinato e dell’apprendistato, dovuto anche all’elevato numero di trasformazioni, determinano tuttavia per il lavoro dipendente un saldo negativo per -2.100 posizioni lavorative, in linea con quello registrato nel 2021 (-2.050) e inferiore a quello lievemente positivo del 2020 (+400), e un calo della domanda di lavoro complessiva pari al -2% rispetto al 2020.
(Alberto Beggiolini)
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