La carità non è uno sforzo di buon cuore del singolo e le politiche sociali non sono politiche di paura, ma politiche che hanno grandi risorse da mettere in comune. Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità di Milano, da anni impegnato nel volontariato e nell’aiuto agli ultimi e agli emarginati, ora affronta anche l’emergenza coronavirus. Nella sua struttura ci sono più di cento ospiti, molti dei quali già inseriti in attività di lavoro, che adesso si ritrovano anche loro in isolamento: “Stiamo ricostruendo il senso di cosa vuol dire casa – ci spiega -, è un momento questo per tutti in cui ripensare le proprie priorità, la propria vita, perché dopo questa emergenza cambierà tutto. Dovranno essere ripensati la cultura, la politica e anche la spiritualità. Il volontariato non è solo una buona azione, riprendiamo in mano l’enciclica del Papa Laudato si’, teniamola stretta e prepariamoci a un grande dibattito per cambiare l’economia e la sanità pubblica, che non è una concessione dall’alto, ma un bene primario per tutti, senza distinzioni”.
Come è cambiata la vostra attività in questi tempi di emergenza coronavirus?
E’ cambiata molto. Abbiamo in ospitalità residenziale più di cento persone, di cui diverse già inserite nel mondo del lavoro. Siamo stati costretti a ripensare tutto, grazie alla disponibilità di operatori professionali e volontari, c’è un grande spirito di solidarietà e di comprensione delle difficoltà altrui. Credo che stiamo reagendo molto bene all’emergenza dal punto di vista della qualità dell’accoglienza.
Ci può citare qualche esempio particolare?
Alcuni nostri volontari vanno nelle case a consegnare il cambio della biancheria, i vestiti, un po’ di cibo, ma soprattutto per parlare con queste persone. Abbiamo riscoperto l’uso del telefono, sentiamo costantemente gli anziani che vivono da soli. Ma soprattutto dialoghiamo fra noi, per capire che non si tratta solo di stare in casa, ma che ci è chiesto di riflettere.
Le associazioni che facevano servizio di consegna di pacchi cibo alle famiglie disagiate hanno dovuto sospendere la loro attività, ma fortunatamente si è attivata la protezione civile d’accordo con il Comune di Milano che si occupa della consegna. Questo ci dice, anche per il futuro, che è possibile dar vita a una collaborazione con le istituzioni in modo permanente?
Certamente. Il fatto di assumersi istituzionalmente questo lavoro porta anche a una qualità e a una capacità di assumersi dei rischi. La carità non è solo il generico buon cuore del singolo, non si tratta di fare cooperazione di bontà, ma di solidarietà. Abbiamo visto lo sforzo immane di tanti volontari che vanno nelle case di riposo, dove si contano molti morti, ma la professionalità, come emerge in questa situazione, è qualcosa di molto importante.
Questo virus, come ogni virus, non guarda in faccia nessuno, tocca tutti, i ricchi e i poveri. Che ne pensa?
La Regina Elisabetta è a rischio come l’ultimo dei poveri, è così. E’ come un demonio che si aggira senza freni, entra nelle case di tutti. Dovremo ricostruire un mondo, non saremo più come prima, le macerie che rimarranno ci obbligano già adesso a riscoprire la capacità di pensare al dopo. Non siamo davanti a un incidente di percorso, bisognerà ripensare profondamente l’economia, la cultura, anche la spiritualità. Ce lo diciamo continuamente in casa: ripensiamo a quelle che sono sempre state le nostre priorità, il nostro stile di vita.
La crisi che stiamo affrontando porterà a un allargamento della povertà, a una crescita dei bisogni. E’ preoccupato?
Tutti siamo preoccupati, ma proprio per questo dobbiamo assumerci la responsabilità di impegnarci in un grande dibattito, penso alla sanità e alla salute. Abbiamo una Costituzione ricchissima di esempi su come muoverci. Il diritto alla salute è di tutti, non è una concessione, bisognerà ripartire da un sistema sanitario pubblico inserito nelle comunità locali. Accanto al dolore e alla sofferenza dobbiamo impegnarci nella capacità di ricreare energia. Il volontariato non è una buona azione, io invito sempre tutti a riprendere in mano l’enciclica del Papa, Laudato si’, perché sia il documento su cui ricostruire il nostro mondo.
(Paolo Vites)