I dati Istat della scorsa settimana hanno mostrato una doppia situazione nella Penisola molto preoccupante: da un lato la situazione della povertà, dall’altro la questione della natalità. Pur se distinti, questi sono due temi profondamente legati tra loro.
Dal punto di vista della natalità si conferma il prevedibile calo, con un tasso di nati per donna che passa da 1,22 del 2022 a 1,20 del 2023 (il minimo storico è di 1,19 del 1995); in numeri assoluti si passa da 393 mila nuovi nati a 379 mila in un solo anno (-14 mila, una riduzione del 3,6%): “Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%)” (Report Istat). Allo stesso tempo l’età delle neomamme si alza a 32,5 anni (+0,1 rispetto al 2022).
Oltre alle cause politico-economiche già ampiamente analizzate in diversi scritti, è altrettanto evidente che la denatalità di ieri è, in parte, causa della denatalità di oggi. Cioè meno coppie, complici le difficoltà oggettive che incontrano, fanno meno figli, contribuendo di conseguenza a ridurre il tasso di fertilità. I dati sono diversificati per Regione e addirittura in Sardegna si assiste a un dato estremamente preoccupante: 0,91 figli per donna, mentre la Regione con la più alta natalità è il Trentino-Alto Adige (anche se in realtà si parla di due provincie autonome) con un tasso pari a 1,41, molto maggiore della media nazionale anche se rimane molto basso.
Sono anni che questi dati vengono presentati, con un andamento fortemente negativo. A differenza che in Italia, in Francia la preoccupazione (e l’attenzione) per i dati demografici è tale per cui il campanello d’allarme è scattato alla soglia dei 700 mila nuovi nati (poco meno del doppio dell’Italia), cifra che per noi non solo sarebbe positiva, per quanto ancora insufficiente, ma, viste le condizioni attuali, pare essere un miraggio.
In tutta questa situazione si inserisce la rilevazione della povertà in Italia. In primo luogo, analizzando i consumi, si vede come questi, per quanto riguarda il livello medio mensile, crescono “in termini correnti del 3,9% rispetto all’anno precedente. In termini reali invece si riducono dell’1,8% per effetto dell’inflazione (+5,9% la variazione su base annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo), senza particolari differenze tra le famiglie più o meno abbienti” (Report Istat). In pratica, pur aumentando nominalmente la spesa, in termini reali le famiglie sono portate a spendere di meno: in altre parole, il potere d’acquisto è calato. I dati dimostrano, infatti, che la spesa media mensile è pari a 2.728 euro (valori correnti), con una crescita del 3,9% rispetto all’anno precedente (di 2.625 euro). Questa crescita però risente in modo significativo dell’aumento dei prezzi (+5,9%), mentre in termini reali la spesa media si riduce dell’1,8% (cfr. Rapporto Istat). Per quanto riguarda la disuguaglianza, il dato rimane stabile al 4,9.
Nel 2023 le famiglie in povertà assoluta sono circa l’8,5% del totale (contro l’8,3% dell’anno precedente), pari a 2 milioni e 234 famiglie, corrispondenti a circa 5,7 milioni di individui.
Oltre a questi dati, va evidenziato come i figli siano la seconda causa di povertà in Italia. Com’è possibile allora pensare a una crescita della natalità in un contesto del genere?
La politica dei bonus perpetrata in tanti anni sembra essere fallimentare, o comunque non sufficiente al rilancio demografico. È dunque necessario “un piano Marshall per la natalità” ove investire risorse per contrastare questo dramma, ma prima ancora bisogna prendere coscienza del fatto che “la spesa per far ripartire le nascite non è un costo ma un investimento” (G. De Palo).
Al Governo e alla politica tutta il compito di rispondere.
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