La cosiddetta povertà relativa nel nostro paese colpisce circa il 10% (precisamente 9,8) dell’intero ceto medio. Una statistica che presa così potrebbe far pensare che si tratti di un dato per certi versi positivo, perché significa che solo il 10% della popolazione che lavora vive al di sotto della soglia di povertà. In realtà, però, nel computo sono esclusi i poveri assoluti (coloro che non lavorano e non posseggono beni materiali) e tenuti in considerazione solo coloro che lavorano attivamente.
A mettere in fila i dati sulla povertà relativa in Italia è stato l’Osservatorio nazionale famiglie e redditi di Acli, con la collaborazione dell’Istituto di ricerche educative e formative (Iref) e si basa sui Modelli 730 effettivamente presentati da 602.566 famiglie (uni o pluri personali). Ne emerge un quadro, purtroppo, impietoso e che sembra disegnare per l’Italia un futuro piuttosto complicato. Di fatto, stando ai 730, la povertà relativa colpisce 58.824 famiglie, pari all’1,6% in più del 2020 (quando furono 49.652). A dichiarare la condizione di povertà sono il 13,9% degli uomini soli over 70, mentre sono l’86,1% delle donne, con uno squilibrio di 1 a 6.
Lo studio: “L’aumento della povertà relativa è dovuto all’aumento dell’inflazione”
L’aumento della povertà relativa in Italia, specialmente tra il ceto medio, è da ascrivere, secondo Acli e Iref, alla pesante inflazione che ha colpito buona parte del mondo, peraltro subito dopo il già complicato periodo pandemico. Dati alla mano, infatti, l’inflazione pesa, sulle famiglie con due redditi senza figli a carico, come 8 carrelli della spesa, il che significa che in un anno si fanno complessivamente 8 spese in meno (calcolando una media di 90 euro a carrello).
Dalla ricerca sulla povertà relativa, spiega Gianfranco Zucca, ricercatore dell’Iref e tra gli autori dello studio, al Corriere, “emerge il fattore drammatico della solitudine. Nel senso che in teoria, per vivere, dovrebbe non essere necessario lavorare in due”, mentre la realtà “soprattutto nelle grandi città” è ben diversa. “Persone anziane da sole, o magari giovani ma separate o divorziate, o semplicemente giovani”, sottolinea, “se vivono per conto proprio non ci stanno dentro”, specialmente se “donne sole con figli”. Lidia Borzì, delegata nazionale Acli alla famiglia, sempre parlando dello studio sulla povertà relativa pone l’accento sul fatto che “l’inflazione si è abbattuta su famiglie già provate dal Covid. Poi è arrivata l’impennata dei mutui. Quindi la necessità di tagliare spese: meno sport e attività per i figli, ma anche meno visite mediche, meno vita sociale, quindi aumento della solitudine, della rabbia“.