Anche Gianmarco Pozzecco è stato ospite di #CasaSkySport, ormai consueto appuntamento nel quale il canale satellitare dedicato al mondo dello sport intervista un campione o ex campione in questi tempi di Coronavirus. L’attuale allenatore della Dinamo Sassari, con cui ha vinto Europe Cup e Supercoppa Italiana portando la squadra alla finale scudetto, sarà disoccupato fino alla prossima stagione: in Italia il campionato di basket è ufficialmente concluso, non riprenderà e lo scudetto non è stato assegnato. Un peccato per il Banco di Sardegna che, secondo in classifica, avrebbe potuto giocarsela con la Virtus Bologna e le altre antagoniste; a proposito della pallacanestro, Pozzecco ha provato a immaginare uno scenario futuro dicendo che “se il movimento andrà in crisi si farà di necessità virtù”, ovvero potrà eventualmente essere l’occasione per vedere più italiani sul parquet. Sull’argomento ha anche ipotizzato un possibile futuro sulla panchina di Trieste: “Al momento non mi passa per la testa perché non voglio tornare a vivere con i miei, preferisco continuare a fare il ‘mona’ in giro per il mondo” ha risposto con la consueta ironia.
Del resto, Pozzecco un’esperienza “di cuore” l’ha già avuta: aveva accettato la chiamata di Varese, squadra cui ha dedicato otto anni di carriera da playmaker trascinandola allo scudetto della stella. Un eroe che sotto le Prealpi è quasi una divinità, ma in panchina ha fallito: di lui si ricordano soprattutto una camicia strappata in un derby (con tanto di espulsione), un’irruzione in sala stampa a Brindisi (da squalificato, facendo montare la polemica con i giornalisti locali) e le lacrime all’annuncio delle dimissioni, per non essere riuscito a confermare le aspettative dei tifosi. Che, in ogni caso, non gli avrebbero mai e poi mai dato contro: e questo è stato uno dei problemi. A proposito: Pozzecco ha citato Francesco Totti e Daniele De Rossi come esempi di atleti che “hanno fatto una scelta romantica vestendo sempre la stessa maglia”, ha confessato di invidiarli tantissimo e che sono l’esempio di come in Italia bisognerebbe imparare a prendere in considerazione altri aspetti dello sport, al pari del risultato finale.
GIANMARCO POZZECCO A TUTTO TONDO
Concetti che la Mosca Atomica aveva già espresso parlando della sua Dinamo, e della finale scudetto persa in gara-7 contro Venezia; orgoglioso dei suoi ragazzi sempre e comunque, tanto da creare un bellissimo rapporto di rispetto con Marco Spissu (in cui si rivede), recentemente citato come simbolo della ripartenza dopo il Coronavirus, ragazzo profondamente ancorato al suo territorio. Nel corso dell’intervento però l’allenatore di Sassari ha avuto modo di parlare anche di altro: per esempio del libro che lo sta entusiasmando, ovvero “L’ultimo rigore di Faruk”, dell’eventualità di essere contagiato dal Covid-19 (“rischierei di non farcela vista l’età”) e anche dell’esclusione storica dagli Europei del 1999, poi vinti dall’Italia. Storia nota: il Poz ha sempre ammesso di aver “gufato” quella nazionale, ma anche che ad anni di distanza ha dovuto ammettere come Bosha Tanjevic avesse ragione nel considerarlo la terza scelta tra le guardie – alle spalle di Andrea Meneghin e Gianluca Basile – e che quell’esclusione, unita a quella di quattro anni più tardi, gli ha poi dato le motivazioni per esserci ad Atene, quando gli azzurri hanno ottenuto l’argento olimpico.
Infine, Pozzecco ha approfondito il tema De Rossi: l’ex centrocampista della Roma aveva rivelato che, nel suo percorso per diventare allenatore, sarebbe andato a seguire un allenamento della Mosca Atomica. “Mi ha fatto piacere e mi piace soprattutto la motivazione che ha dato”, vale a dire quella che abbiamo già accennato riguardo il rapporto che il coach è riuscito a creare con i suoi giocatori. Riguardo questo argomento, Pozzecco ha detto che “purtroppo o per fortuna” ci sono tanti giocatori che hanno una personalità bizzarra come la sua, ma che il mondo dello sport è sempre meno incline ad accettarli. Un esempio è Zlatan Ibrahimovic. “Mi auguro che resti al Milan, uno come lui può essere destabilizzante ma, nel momento in cui il gruppo lo accetta, diventa un idillio”.