Secondo i dati Istat, elaborati in occasione del censimento permanente sulle istituzioni pubbliche, negli ultimi 10 anni si è assistito ad un incremento dei dipendenti pubblici pari a + 2,5%, dettato da un maggior numero di contratti a tempo determinato stipulati. Se questa però sembrerebbe essere una buona notizia, in realtà fotografa una continua e progressiva crescita del precariato, destinata a non fermarsi se non si interviene sulle procedure di assunzione e sui pensionamenti. Nella PA, dunque, è sempre più difficile essere stabilizzati e conquistare l’agognato contratto a tempo indeterminato. In cima a questa stima troviamo in particolare il comparto scolastico, in cui da anni è stato coniato, non a caso, il termine ‘supplentite‘.
Ma da cosa dipenderebbe questa situazione? È stato sempre l’Istat a sottolineare come il lavoro in ambito pubblico sia stato minato da “politiche di contenimento della spesa pubblica e di limitazione del turnover dei dipendenti “, incidendo quindi significativamente sui livelli di occupazione. Se quindi aumentano i contratti a tempo determinato, calano di conseguenza quelli a indeterminato. Si parla infatti di ben – 73 mila unità nell’ultimo decennio.
Precari storici nella scuola: dati confermati anche nel rapporto Censis
La realtà che ci ha riportato l’Istat combacia anche col rapporto Censis che, oltre ad aver confermato lo stesso trend, ha voluto porre l’accento anche su un altro fattore: l’età. Nella scuola, seguita subito dal settore sanitario, l’età media dei precari si attesta sui 50 anni. E anche questo non può che rappresentare un dato preoccupante, che mostra evidentemente come qualcosa non funzioni nella ‘macchina’ scolastica. Sono inoltre soprattutto le donne a rientrare in questi dati. Ma quest’ultimo aspetto non rappresenta una novità se consideriamo che il personale docente e ATA sono da sempre categorie lavorative maggiormente svolte da lavoratrici.
Ciò che invece fa più specie è come le assunzioni in ruolo non manchino ogni anno, a seguito anche dei vari concorsi banditi negli ultimi anni, ma la copertura dei posti non sembra essere sufficiente per sanare la ‘piaga’ del precariato, soprattutto con riferimento a chi lavora nella scuola da tempo, con anni di esperienza alle spalle e magari anche titoli e corsi di formazione conseguiti con fatica.