Lo aveva già detto a Trento, Giorgia Meloni, ma domenica è stata esplicita durante l’intervista di Monica Maggioni a In mezz’ora, dove ha dichiarato “Mi chiedono se non passa il referendum è un problema… chissene importa. Sono pronta a dimettermi qualora venisse bocciato il referendum? No. Io arrivo alla fine dei 5 anni e chiederò agli italiani di essere giudicata. Se la riforma non passa gli italiani non l’avranno condivisa. Tutto il resto sono speranze della sinistra”.



Ora, le cose non stanno esattamente così e la circostanza che la presidente del Consiglio abbia fatto questa virata è il segno evidente che forse ha capito in quale vicolo si sia cacciata. Ma andiamo con ordine.

Durante la campagna elettorale il centrodestra e la Meloni personalmente hanno chiesto un mandato agli elettori sul presidenzialismo. Dunque, la riforma della forma di governo è parte integrante del programma di questo governo, sostenuto dalla maggioranza parlamentare di centrodestra.



Dopo l’avvio della legislatura la ministra Casellati ha sottoscritto insieme alla presidente del Consiglio il disegno di legge costituzionale su quello che hanno incominciato a chiamare il “premierato”.

Non sappiamo chi tra i consiglieri e i tecnici di cui si circondano la Meloni e la Casellati abbia dato loro questo suggerimento. Ma il testo dell’AS 935 non tende a instaurare una forma di premierato ed è anni luce lontano dal simulare una forma di governo presidenziale.

Il premierato vero, quello inglese e, in una qualche misura, anche il cancellierato tedesco, si basa su una preponderanza della rappresentanza politica, e cioè del Parlamento, sul Governo; la riforma della Meloni e della Casellati, invece, tende a subordinare il Parlamento e a costruire una maggioranza su misura per il candidato presidente eletto, con un premio di maggioranza ad hoc, ed è il voto al presidente del Consiglio che determina la composizione delle Camere (“La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio”), falsando la funzione dell’istituto della fiducia, o meglio della sfiducia, che può essere adoperata solo per decretare lo scioglimento del Parlamento che la vota, in contrasto con ogni logica parlamentare.



Non è una forma di presidenzialismo o di semipresidenzialismo, perché non si elegge il Capo dello Stato e non si supera l’istituto della fiducia, tipica espressione della forma di governo parlamentare. Il presidenzialismo, inoltre, si caratterizza per una elezione del Capo dello Stato totalmente indipendente da quella del Parlamento ed è questa indipendenza che dà la legittimazione al Presidente eletto a governare, ma non a fare le leggi, che sarebbe una prerogativa esclusiva del Parlamento, senza la possibilità di adottare decreti legge o di avvantaggiarsi di deleghe legislative.

Nel presidenzialismo, infine, il Presidente della Repubblica assume la doppia veste di rappresentante e di guida dello Stato, ma il Parlamento ha sempre potere su di lui e quindi verrebbe in modo specifico rafforzato rispetto allo stato attuale, mediante il potere di assenso all’esercizio di determinati poteri presidenziali, con il potere di accusa e la possibilità di processare il Presidente della Repubblica per gli atti di governo e con il potere di inchiesta nei confronti dell’amministrazione senza alcuna opposizione del segreto di Stato.

Ma se l’AS 935 non prefigura il premierato e neppure il presidenzialismo o il semipresidenzialismo, allora cosa contiene?

In realtà, la forma di governo per la quale Giorgia Meloni ha detto che ci mette la faccia, salvo dire poi “chissene importa”, è una forma di governo che si potrebbe definire del “primo ministro” che porterebbe a termine il progressivo esautoramento del Parlamento, accentuerebbe in modo estremo la preminenza del Governo e passerebbe per una elezione ad “acclamazione” estranea alla tradizione del parlamentarismo. In tal senso, perciò, è stato detto che questa forma di governo supererebbe i limiti posti alla revisione costituzionale che la Corte costituzionale ha individuato nei “principi generali dell’ordinamento costituzionale” e, perciò, saremmo di fronte ad una legge di revisione costituzionale incostituzionale.

In più, prevedendo in Costituzione il premio di maggioranza, la riforma tende a superare quei limiti costituzionali fissati dal giudice costituzionale nelle sentenze n. 1/2014, sulla legge elettorale di Calderoli, e n. 35/2017, sulla legge elettorale di Renzi, per la quale nel nostro ordinamento costituzionale la rappresentatività precede sempre la governabilità e prevale su questa.

Ma come mai dopo tanto strombazzare sul premierato, la riforma sembra destinata a essere politicamente abbandonata, con un romanesco “chissene importa”?

Certamente non perché la Meloni si sia accorta di quale pasticcio costituzionale le abbia confezionato la Casellati, bensì perché sta subodorando che il referendum costituzionale sarebbe non solo su di lei, ma su di lei contro Mattarella, dal momento che la sua proposta ne mortifica la figura, eliminando quella specificità del Capo dello Stato voluta dal Costituente che ha affidato a lui il compito di risolvere le crisi istituzionali.

È il confronto con il Presidente Mattarella che sta mettendo ansia alla Meloni; i suoi cinque anni scadono nel 2027, mentre i sette anni del Presidente Mattarella scadranno nel 2029. In qualunque momento si svolga il referendum costituzionale, questo sarà in presenza della figura del Presidente della Repubblica attuale ed è una figura che nell’opinione pubblica conta (ancora) molto più della Meloni.

Di qui il tentativo di sganciarsi dalla riforma costituzionale. Semplice, si dirà.

E invece no, perché sarebbe una violazione non indifferente della Costituzione. Infatti, la sua responsabilità politica sarebbe piena: in occasione delle elezioni politiche del 2022 la Meloni ha chiesto agli elettori un mandato specifico alla riforma e gli elettori glielo hanno dato; se con il referendum confermativo gli elettori bocciano il modo in cui ha usato il mandato conferito, non le resta altra via che dimettersi, perché gli elettori avrebbero bocciato una proposta caratterizzante il mandato della presidente del Consiglio. Il “chissene importa” non è proprio possibile.

È per questo motivo che, se la premier lo consente, le consigliamo di sospendere la riforma – come lei stessa ha detto ad altro proposito – “in attesa di ulteriori approfondimenti”.

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