Puntuali come le allergie di primavera, sono arrivati i finalisti del Premio Strega, sia quelli di narrativa, di poesia, sia dei giovani o della sezione internazionale. E puntuali arrivano le polemiche. Per il premio maggiore, quello di narrativa, quest’anno c’è chi si è preso la briga di contare quante pagine ogni giurato dovrebbe leggere quotidianamente perché le cose siano fatte in maniera corretta e secondo statuto. La risposta è nell’ordine delle migliaia, cioè un’impresa impossibile.
Degli oltre 80 romanzi proposti in prima battuta, è più che probabile che i primi 12 siano stati scelti individualmente dai giurati, tant’è che nella motivazione viene indicato il nome del proponente. Ci sarebbe da pensare che ora tutti leggano tutti i romanzi, per giungere alla cinquina, ma difficile metterci la mano sul fuoco. La passata edizione registrò anche una dichiarazione in diretta di un giurato della fase finale, politicamente altolocato, che ammise di non aver letto il libro per cui aveva votato.
Per la sezione Poesia il meccanismo è ancora più misterioso. Tra le 12 raccolte poetiche superstiti delle 14p4 iniziali si notano strane coincidenze. Alcuni giurati, infatti, sono consulenti editoriali, direttori di collane di poesia o addirittura editori e, guarda caso, gli stessi libri da loro consigliati o editati risultano tra i dodici big. Si potrebbe parlare di conflitto di interesse? Chissà…
Il criterio delle vendite, che interessa poco la poesia e molto la narrativa, non sembra essere importante nella compilazione delle rose dei finalisti. Tra i romanzi prescelti, alcuni vendono qualche migliaio di copie, altre non vanno oltre qualche centinaio. La direzione del Premio si è affrettata a ricordare che la nomina di un romanzo tra i finalisti, tantopiù nella cinquina finale, moltiplica le vendite a dismisura, fino anche al 500 per cento. E qui sta il vero motivo della corsa alla selezione e all’inclusione di autori ed editori, e di chissà quali manovre sotterranee, che ci limitiamo a congetturare, per accaparrarsi un posto al sole dello Strega.
Si tratta in realtà di qualcosa di misterioso. Perché all’evocare il Premio Strega in migliaia corrono in libreria, soprattutto se la dicitura compare sulla fascetta dei libri? Da dove viene questa grande potenza mediatica, questa autorevolezza indiscussa, se poi i meccanismi di selezione sono quelli che sono? C’è stata indubbiamente un’epoca in cui lo Strega era tutt’altro, ma si parla degli anni Quaranta e Cinquanta, quando a vincerlo c’era gente come Cesare Pavese. Già pochi anni dopo Pier Paolo Pasolini tuonava sui giornali contro il Premio, appannaggio a suo dire di una consorteria borghese per cui non valeva la pena sprecarci i libri. Ma Pasolini è passato e il Premio è ancora lì, magnifica grancassa pubblicitaria. Anche se chi ci casca non saprebbe dire neppure perché.
Si dovrebbe parlare di letteratura. L’anno scorso è stato pubblicato un libro di Gianluigi Simonetti, professore di letteratura italiana all’Università Svizzera di Losanna, dal titolo provocatorio: Caccia allo Strega, anatomia di un premio letterario (edizioni Nottetempo). L’autore si è preso la briga di leggere tutti i romanzi delle cinquine finaliste degli ultimi anni, di commentarli uno ad uno, chiedendosi quanti sono durati oltre il tempo effimero della competizione letteraria. Risultato: zero.
Quindi la letteratura non passa di qui. Dal Premio Strega passano libri che inseguono qualche tema di moda, tant’è vero che lo stesso Simonetti dimostra come i romanzi parlino sempre più di relazioni in crisi, famiglie sfasciate, identità di genere. Talvolta una spruzzatina di storia: quest’anno della dozzina fa già polemica un romanzo revisionista con una storia legata all’attentato comunista di Acca Larentia del 1978 contro alcuni militanti dell’MSI. È chiaro: bisognava che qualcuno desse una botticina al governo di destra. Il tutto serve all’unico vero scopo: far vendere copie ad un genere artistico, la letteratura, sempre più agonizzante, periferico rispetto al dibattito culturale della società e preda di giochetti editoriali e concorsi che non servono ad altro.
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