È in corso la riunione della maggioranza (tra Pd, M5s e LeU, assente Italia Viva) sulla riforma della giustizia messa a punto dal Ministro Bonafede con l’aggiunta del cosiddetto “Lodo Conte” sul tema caldissimo della prescrizione: come noto, il M5s e la Lega avevano approvato un anno fa (con inizio però fissato l’1 gennaio 2020) la riforma che bloccava la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche se assolti nel processo. Ora, dopo lo strappo avuto prima di Capodanno nel Governo con i renziani su tutte le furie per il cambio di strategia del Pd (che un anno contestava la riforma e oggi la approva assieme ai grillini), il Premier Conte ha fatto inserire una norma che prevede il blocco della prescrizione solo in determinati casi: ora è scritto nel ddl penale (che potrebbe giungere in Cdm già questa sera se si arriverà ad un accordo generale) che il blocco della prescrizione dopo il primo verdetto si applicherà solo in caso di condanna; per le assoluzioni, invece, ci sarà una sospensione non superiore a due anni, dopodiché ricomincerà a decorrere. C’è però nella stessa norma la previsione che vi sia una proroga di ulteriori due anni di sospensione, ma si litiga ancora sui termini di applicazione; a livello generale, Italia Viva lancia già la provocazione che terrà banco nelle prossime settimane, «si fa distinzione tra assolti e condannati, ci sono profili di incostituzionalità». Le novità però non convincono neanche Pd e M5s che chiedevano tempi certi per la definizione del processo d’Appello: secondo i tecnici del Ministero della Giustizia, trascorsi due anni senza che sia arrivata la sentenza, «le parti o i loro difensori possano presentare istanza di immediata definizione del processo», si legge nel testo presentato a Palazzo Chigi della riforma della giustizia.
RIFORMA GIUSTIZIA DEL MINISTRO BONAFEDE: LE NOVITÀ
Non solo “Lodo Conte” e prescrizione, il ddl Bonafede prevede che dopo la richiesta di Appello immediato si hanno 6 mesi per raggiungere un verdetto: se il termine non viene rispettato nuovamente, «il magistrato che non ha pronunciato la sentenza potrà essere sottoposto a procedimento disciplinare». La vicenda si complica però ulteriormente secondo quanto contenuto nell’altra novità inserita sul processo d’Appello: «il limite di sei mesi per definire il processo d’appello potrà essere a sua volta modificato (e quindi allungato), se il Consiglio superiore della magistratura ritenesse che in un determinato distretto giudiziario le condizioni e i carichi di lavoro richiedano tempi maggiori», riporta il Corriere della Sera facendo riferimento al testo della riforma Bonafede. Il progetto di far chiudere i processi in tre anni, sebbene di difficile attuazione, è ciò che sottende l’accordo di Governo tra Pd e M5s e su questo fonti di P. Chigi parlando di «ok vicino»; come spiega Repubblica, l’impianto prevede un processo penale intero in soli 4 anni, ma entro due anni quando la riforma andrà a regime, addirittura in 3. «Per ora un anno in primo grado, due in appello e uno in Cassazione. E poi, tra due anni, un solo anno per ogni grado di giudizio», spiega Rep commentando il testo del Ddl penale. Il problema resta la forte divisione interna con i renziani che potrebbero rendere potenzialmente infuocati i prossimi Consigli dei Ministri, nonché l’iter d’approvazione in Parlamento. Nella riforma dove si prevedrà lo stop alla prescrizione, è inserito anche il nuovo sistema di elezione del Csm dopo gli scandali che hanno accompagnato il Consiglio Superiore di Magistratura lo scorso anno: il futuro Csm sarà composto da 30 componenti, 20 togati (ora sono 16) e 10 laici rispetto agli attuali 8. Si abbandona però il “sorteggio” ipotizzato da Bonafede in un primo momento; il voto dei togati avverrà in 19 collegi che saranno definiti 3 mesi prima dal ministero della Giustizia.