Il 10 settembre il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha pubblicato una doppia decisione in tema di Alitalia. La prima riguarda il prestito ponte di 900 milioni assegnato in due tranche nel 2017 (600 milioni disposti con il decreto del 2 maggio 2017, contestualmente all’avvio dell’amministrazione straordinaria, e 300 milioni aggiunti nell’ottobre successivo), la seconda concerne il nulla osta comunitario al progetto di ITA.



Nella prima il prestito ponte è stato riconosciuto come aiuto di Stato non conforme al diritto comunitario e, in conseguenza, lo Stato italiano ha l’obbligo di cercare di recuperarlo da Alitalia in amministrazione straordinaria entro un tempo che, desumendo da casi analoghi, dovrebbe essere previsto in sei mesi.

Nella seconda è stato dato il via libera al progetto di ITA in quanto ritenuta sufficientemente differente e discontinua da Alitalia. Essa non sarà pertanto chiamata a rifondere il prestito ponte di cui ha beneficiato la vecchia Alitalia, mentre solo quest’ultima sarà tenuta alla restituzione.



Entrambe queste scelte della Commissione europea erano prevedibili e attese, tuttavia il secondo provvedimento contiene anche una decisione inaspettata che richiede invece un notevole sforzo interpretativo. Infatti il conferimento di capitale pubblico di 1,35 miliardi a ITA è stato riconosciuto in maniera sorprendente come ‘investimento di mercato’ e non come aiuto di Stato, in base a tre pareri di advisor italiani, di ITA o del governo, i cui nominativi non sono stati riportati. Questa decisione è una pessima notizia per il contribuente, in quanto implica che nel momento in cui ITA avrà consumato la dotazione iniziale di capitale, che copre a nostro avviso solo il necessario investimento in partenza e non più di due  inverni di perdite, potrà chiederne altro a titolo di aiuti di Stato, forse gli 1,65 miliardi che completano i 3 miliardi totali di fondi pubblici stanziati per il progetto nel 2020.



Data la complessità di questi aspetti, analizziamo per ora solo la decisione europea sul prestito ponte e rimandiamo a una seconda puntata l’analisi dettagliata del via libera a ITA come ‘investimento di mercato’. Occorre peraltro ricordare che la decisione della Commissione sui prestiti riguarda solo le due tranche del primo e non il secondo di 400 milioni, assegnato a fine 2019, per il quale è in corso una separata procedura d’infrazione, avviata a febbraio 2020, che porterà inevitabilmente a conclusioni simili.

Alitalia, la decisione sul primo prestito ponte

Nel comunicato stampa con cui è stata annunciata la decisione, il vicepresidente esecutivo della Commissione e responsabile delle politiche di concorrenza Vestager l’ha così illustrata: “A seguito della nostra indagine approfondita, siamo giunti alla conclusione che due prestiti pubblici per 900 milioni di euro concessi dall’Italia ad Alitalia hanno dato alla società un vantaggio ingiusto rispetto ai suoi concorrenti, in violazione delle norme UE sugli aiuti di Stato. Ora devono essere recuperati dall’Italia all’Alitalia per contribuire a ripristinare condizioni di parità nell’industria aeronautica europea“. Ma vediamo in dettaglio la spiegazione che è stata data della decisione.

In primo luogo, i fatti contestati: “All’inizio del 2017 Alitalia aveva urgente bisogno di liquidità ma aveva perso l’accesso ai mercati del credito a causa della sua situazione finanziaria deteriorata. Al fine di mantenere operativa Alitalia, nei mesi di maggio e ottobre 2017, l’Italia ha concesso alla società due prestiti per un importo rispettivamente di 600 milioni di euro e 300 milioni di euro. Contestualmente, Alitalia è stata posta in procedura concorsuale speciale ai sensi del diritto fallimentare italiano”.

In secondo luogo, la motivazione della decisione: “Ai sensi della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, gli interventi pubblici a favore delle imprese possono considerarsi esenti da aiuti di Stato, quando lo Stato agisce non come autorità pubblica ma con modalità che un operatore privato avrebbe accettato a condizioni di mercato (principio dell’operatore in economia di mercato). Dall’indagine della Commissione è emerso che, nel concedere i due prestiti ad Alitalia, l’Italia non si è comportata come avrebbe fatto un investitore privato, in quanto non ha valutato in anticipo la probabilità di rimborso dei prestiti, maggiorata degli interessi. A questo proposito, la valutazione della Commissione del bilancio di Alitalia all’epoca ha mostrato che Alitalia non sarebbe stata in grado di generare liquidità sufficiente per rimborsare i prestiti statali entro le loro date di scadenza, né avrebbe potuto vendere le sue attività per raccogliere liquidità sufficiente per il rimborso del debito. Su tale base, la Commissione ha concluso che nessun investitore privato avrebbe concesso i prestiti alla società all’epoca e che i due prestiti costituivano aiuti di Stato ai sensi delle norme UE in materia di aiuti di Stato”.

Quanto appena letto è ineccepibile e totalmente condivisibile. Ma anche così prevedibile che lo avevamo già scritto su lavoce.info, con parole differenti ma equivalente significato, tre anni fa, nell’aprile 2018, a distanza di pochi giorni dall’apertura della procedura d’infrazione da parte dell’UE, in un pezzo dal titolo significativo ‘Alitalia vola con l’aiuto di Stato’: “Il prestito ponte (..) è un aiuto di stato? E in tal caso è conforme oppure viola le norme comunitarie? Sono i due interrogativi ai quali dovrà rispondere nei prossimi mesi la Commissione UE nell’ambito dell’indagine aperta pochi giorni fa. Già solo il fatto che l’indagine sia stata avviata segnala che la Commissione ritiene non infondata l’ipotesi del contrasto col diritto comunitario. Non si tratta di un caso nuovo, date le numerose similitudini col prestito ponte da 300 milioni erogato all’Alitalia pubblica nel 2008. In quella circostanza la Commissione UE stabilì trattarsi di un aiuto di stato illegittimo e ne richiese la restituzione, che però non avvenne perché nel periodo trascorso tra erogazione e sentenza il prestito fu trasformato in capitale proprio e si dissolse rapidamente nella gestione. Il finanziamento pubblico di un’impresa, diretto o indiretto, tramite l’apporto di capitale o l’erogazione di credito, non è aiuto di stato se avviene a condizioni di mercato, dunque in qualità di conferimento di capitale in un’impresa profittevole, o ragionevolmente attesa tale a seguito dell’adozione di credibili piani di ristrutturazione, oppure di erogazione di prestiti a condizioni normali di mercato e non a tassi agevolati. Se l’Alitalia privata fosse stata profittevole il governo avrebbe persino potuto comprarsela tutta intera senza ostacoli da parte della Commissione. Trattandosi invece di un’azienda in dissesto, un prestito consistente concesso a un tasso elevato, prossimo al 10 per cento, non può essere considerato una normale operazione di mercato. È senza dubbio un aiuto di stato dato che nessun soggetto di mercato presterebbe, a qualunque tasso, soldi a un’impresa insolvente”.

L’uso politico del tempo da parte della Commissione

Vi è una sola discrepanza tra la decisione della Commissione appena adottata e la mia previsione del 2018 sulla medesima: il tempo. ‘La commissione UE dovrà rispondere nei prossimi mesi…” si è rivelata una previsione estremamente ottimistica, dato che i mesi intercorsi tra l’apertura del procedimento e la decisione sono stati ben 41 e quelli trascorsi tra il primo prestito e la decisione addirittura 52. Persino per l’avvio del procedimento ci vollero 11 mesi, come confermato dalla cronologia indicata nello stesso comunicato della Commissione: “Il 23 aprile 2018 la Commissione ha avviato un’indagine formale per stabilire se i due prestiti fossero in linea con le norme dell’UE in materia di aiuti di Stato. Ciò ha fatto seguito (i) a una serie di denunce formali ricevute dalla Commissione nel 2017 da compagnie aeree rivali, secondo cui l’Italia aveva concesso aiuti di Stato illegali e incompatibili ad Alitalia, e (ii) alla notifica dell’Italia nel gennaio 2018 dei prestiti di Stato a titolo di aiuto al salvataggio ai sensi gli orientamenti della Commissione sugli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione”.

In sostanza la Commissione ci rivela che le denunce delle compagnie aeree concorrenti sono state tempestive rispetto al prestito, presentate già nel 2017 e si presume nell’immediatezza del medesimo. Invece l’apertura della procedura è avvenuta solo 11 mesi dopo il prestito, ad aprile 2018. Perché così tanto tempo e cosa è avvenuto d’importante nel frattempo? Alla prima domanda non siamo in grado di rispondere, se non osservando che in occasione dell’analogo prestito ponte del 2008 l’apertura del procedimento d’infrazione fu molto tempestiva: il governo concede il prestito il 22 aprile 2008 e la Commissione apre l’infrazione l’11 giugno, meno di 2 mesi dopo; poi chiude la procedura già il 12 novembre 2018, solo 5 mesi dopo l’apertura e 7 dopo il prestito. Questi due intervalli nel caso ultimo salgono invece, rispettivamente, da 5 a 41 mesi e da 7 a 52. Perché? Inoltre, poiché a marzo 2018 vi sono state le elezioni politiche in Italia non è che la Commissione, decidendo l’apertura dell’infrazione solo il mese successivo, non ha voluto influire sulle medesime e ha in qualche modo coperto i cattivi decisori del prestito illecito? E’ una domanda destinata a restare senza risposta.

Gli altri errori dei decisori italiani

Inoltre in quel contributo dell’aprile 2018 così scrivevo: “Due caratteristiche del prestito suscitano le perplessità dei valutatori europei. In primo luogo, la sua durata, inizialmente prevista in sei mesi, ma in seguito allungata a un anno e ora, col decreto appena emanato, a oltre un anno e mezzo. In secondo luogo, l’entità dell’importo, elevata già in partenza e poi aumentata del 50 per cento. Novecento milioni rappresentano una cifra molto alta, superiore alla somma di quanto spesero gli azionisti privati nel 2008 ed Etihad nel 2014. È l’importo di una ristrutturazione aziendale, senza tuttavia che ne sia stata prevista alcuna. (…) il percorso ‘d’urgenza’ giustifica un prestito limitato per un tempo breve, come avvenuto in Germania nel caso di Air Berlin: 200 milioni per tre mesi. (…) Un aiuto di stato consistente per un tempo non breve richiede che si metta in atto un piano di ristrutturazione credibile, in grado di riportare l’azienda alla sostenibilità economica. Che però non è stato realizzato dai commissari né richiesto dal governo: la sua assenza rende di conseguenza ampiamente ingiustificato l’aiuto concesso”.

Queste osservazioni trovano completa conferma nel recente comunicato: “La Commissione ha inoltre riscontrato che l’aiuto non poteva essere approvato come aiuto per il salvataggio ai sensi degli orientamenti sugli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione, in linea con la notifica dell’Italia. Questo perché i prestiti non sono stati rimborsati entro sei mesi, l’Italia non ha mai presentato un piano di ristrutturazione per il ripristino della redditività dell’azienda, né l’azienda è stata liquidata, in linea con le condizioni stabilite negli orientamenti”.

E’ per queste ragioni che il prestito è illecito e deve essere restituito. Il governo dell’epoca (Gentiloni, con ministro del Mise competente sulla procedura Calenda) avrebbe potuto in base alle regole europee concedere d’urgenza un prestito di salvataggio per un importo limitato e un periodo limitato, metà del fabbisogno di cassa annuo della gestione (200 milioni secondo le mie stime) per sei mesi, e usare questo intervallo di tempo per elaborare e presentare alla Commissione un ‘un piano di ristrutturazione per il ripristino della redditività dell’azienda’. Ma come avevo appunto ricordato ad aprile 2018, esso “…non è stato realizzato dai commissari né richiesto dal governo: la sua assenza rende di conseguenza ampiamente ingiustificato l’aiuto concesso”.  Come ha appena confermato la Commissione europea.

Nel 2008 mezzo anno bastò alla Commissione Ue per decidere che il prestito di allora era illecito; nel 2017-2021 le sono serviti quattro anni e mezzo. Quali costi hanno comportato questi quattro anni di ritardo? Essi appartengono a differenti tipologie:

• in primo luogo, il costo economico derivante dalle perdite di Alitalia dei quattro anni aggiuntivi (due miliardi circa); esse non sarebbero certo state annullate ma almeno contenute se l’Italia fosse stata costretta dall’Europa ad adottare una scelta industriale in tempi rapidi;

• il dossier Alitalia si è notevolmente complicato, visto che al governo che ne vide la luce ne sono seguiti altri tre; in questi quattro anni e mezzo quattro differenti governi e venti tra ministri e primi ministri si sono affacciati sul dossier senza giungere per ora a una soluzione definitiva (in ogni governo quattro diversi ministri hanno infatti avuto competenze sul medesimo: Sviluppo economico, Trasporti, Economia, Lavoro);

• i potenziali acquirenti della fase iniziale sono tutti scomparsi (in primo luogo il gruppo Lufthansa e il fondo americano Cerberus), rendendo difficile qualsiasi cessione;

• il mercato si è notevolmente deteriorato con l’arrivo della pandemia e la difficile uscita dalla medesima, rendendo incerta qualsivoglia soluzione industriale.

Su chi ricadono questi costi? Di certo non sui cattivi decisori nazionali né sui lenti decisori europei. Ricadono invece sui contribuenti riguardo ai costi monetari e ricadono sui lavoratori di Alitalia riguardo alla caduta consistente delle prospettive industriali.

(1-continua)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI