Il processo sul presunto tentato omicidio del pm Federica Paiola in Sicilia, secondo l’accusa confezionato in un piano che avrebbe previsto un agguato (poi mai posto in essere) da consumarsi nel 2016 in maniera “spettacolare ed evocativa” sulla A20 Messina-Palermo ai danni del magistrato, si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati. Una sentenza che avrebbe fatto crollare l’impianto accusatorio e che è arrivata con formula piena perché, spiega il legale di uno degli uomini finiti alla sbarra, “il fatto non sussiste“. La parola ‘fine’ sulla vicenda è stata pronunciata nell’aula bunker di Reggio Calabria, al termine di un lungo iter giudiziario a carico di sei persone imputate di tentato omicidio in concorso perché accusate di aver progettato la morte di Federica Paiola, pubblico ministero torinese oggi 37enne e all’epoca dei fatti contestati in servizio presso la Procura di Barcellona Pozzo di Gotto.



A processo erano finiti Antonino Corsaro, difeso dall’avvocato Giuseppe Gentile, Salvatore Veneziano, difeso dall’avvocato Giovanni De Stefano, Gaetano Scicchigno, difeso dagli avvocati Alessandro Trovato e Debora Speciale, Carmine Cristini, difeso dall’avvocato Giuseppe Manna, Giovanni Fiore, assistito dall’avvocato Sebastiano Campanella, e Marco Milone, difeso dall’avvocato Sabrina Siracusa. Secondo la Procura, nel 2016, in costanza della loro detenzione presso il carcere Gazzi di Messina, i sei avrebbero cercato di organizzare un attentato contro il pm Federica Paiola che, per natura e modalità, avrebbe richiamato l’era delle grandi stragi di mafia e in particolare l’orrore di Capaci. Un piano criminale che, secondo l’accusa, sarebbe saltato “per cause indipendenti dalla loro volontà, in quanto tale progetto criminoso veniva scoperto“.



Assolti con formula piena perché il fatto non sussiste: chiuso processo su fallito agguato a pm Paiola

La sentenza di assoluzione dei sei imputati pronunciata poche ore fa nell’aula bunker di Reggio Calabria è con formula piena perché, diversamente dalla richiesta di assoluzione con formula dubitativa proposta dal pm Sara Amerio (che per gli imputati, riporta La Gazzetta del Sud, avrebbe però chiesto la misura di sicurezza della libertà vigilata), secondo i giudici “il fatto non sussiste”. Questi i ruoli inizialmente contestati agli imputati finiti a processo con l’accusa di aver pianificato l’agguato poi fallito ai danni del magistrato Federica Paiola, all’epoca del suo incarico nel Messinese: per l’accusa Corsaro sarebbe stato “ideatore e istigatore”, si legge nella nota del collegio difensivo a margine dell’assoluzione, e avrebbe chiesto a Veneziano di fornirgli gli estremi del veicolo del pm (“targa e macchina della Paiola”) promettendogli “le armi per commettere l’omicidio“, nello specifico un “kalashnikov“, mentre Cristini avrebbe dato suggerimenti sulle “modalità dell’azione“, consigliando di “scaricare l’arma sull’autovettura”. Veneziano, ritenuto soggetto individuato quale esecutore materiale nell’ambito del progetto di uccidere Federica Paiola, per l’accusa avrebbe chiesto “altresì il consenso a Fiore e Milone, ristretti in carcere a causa di richieste cautelari” avanzate dallo stesso pm.



L’attentato ai danni di Federica Paiola, nella ricostruzione portata avanti dall’accusa, si sarebbe dovuto consumare sulla A20 Messina-Palermo in modo “spettacolare” e con finalità “di agevolare le associazioni mafiose“. L’omicidio del magistrato torinese sarebbe stato pianificato, ancora secondo le contestazioni, “per un miglioramento all’interno della criminalità organizzata“. Un fitto impianto accusatorio che, sottolineano le difese, “è caduto con una sentenza assolutoria per tutti gli imputati perché il fatto non sussiste“. La misura di sicurezza (per 3 anni) sarebbe stata applicata soltanto per Veneziano. L’avvocato Giuseppe Gentile, difensore di Antonino Corsaro, commenta così la conclusione del processo: “Sono molto contento per questo importante risultato perché finalmente mette fine all’incredibile vicenda giudiziaria che vedeva coinvolto da tanti anni e da innocente il mio assistito, soggetto mai vicino ad ambienti di ‘ndrangheta“. All’epoca, appresa la notizia di essere potenziale bersaglio di un presunto piano di morte, il pm Federica Paiola commentò così a Tgr Sicilia: “È importante che lo Stato faccia sempre sentire la sua presenza. Se un magistrato ha paura di adottare certe decisioni o di fare certi processi, non può più fare il magistrato“.