Nel 1990 uscì nelle sale Presunto innocente diretto da Alan Pakula (mica uno qualunque), con Harrison Ford, Brian Dennhey Greta Scacchi, Raul Juliá, Bonnie Bedella (mica paglia), tratto dal romanzo di Scott Turow, avvocato statunitense, che esordì con successo proprio con questo legal thriller. Il film passa spesso con buoni risultati sulle reti Mediaset (Rete4 e Iris).
Ora Apple TV+ ha prodotto una serie in otto puntate sempre dal titolo Presunto Innocente (Presumed Innocent) con guest star Jake Gyllenhaal (di lui vi ho parlato spesso su questo giornale), nei panni di Rusty Sabich che furono di Harrison Ford. Non faccio paragoni, non ha senso, son trascorsi trentaquattro anni, il canovaccio è per ora quasi identico, con poche libertà degli sceneggiatori.
Rusty Sabich è un procuratore distrettuale di Chicago, sposato con Barbara, due figli adolescenti, in lotta insieme al suo capo Raymond Horgan (Bill Camp) contro il prossimo candidato alla poltrona pubblica, Nico Della Guardia (O.T. Fagbenle) e il suo braccio destro Tommy Molto (Peter Sarsgaard).
Sarà il nuovo capo della procura, Nico Della Guardia con il suo cane da guardia Tommy Molto a incriminare Rusty e farlo arrestare. Raymond Horgan, ritornato nell’avvocatura, nonostante l’incazzatura per essere stato preso per i fondelli dal suo vice, si presenta come avvocato difensore.
E qui terminano i primi due episodi, gli altri sei saranno calendarizzati settimanalmente come ormai Apple TV+ ci sta abituando.
Quando Scott Turow scrisse il romanzo, il DNA non veniva ancora utilizzato come prova in tribunale, i cellulari, internet ed email non erano al centro dell’esistenza come adesso e questo è l’aggiornamento nella serie tv odierna.
In Presunto Innocente la tensione è orchestrata in maniera da crescere in maniera costante, visibile negli atteggiamenti di Rusty, i primi piani del suo volto sono molto espliciti, l’immedesimazione di Jake Gyllenhaal è perfetta, realistica, la sua angoscia traspare pian piano salendo all’inverosimile. Un esempio di ciò sono i suoi desolanti momenti in auto e le sue nuotate in piscina, solo e avvolto nei suoi pensieri. Rischia di perdere tutto, lavoro, credibilità, affetti familiari.
Nel secondo episodio è molto evidente la situazione drammatica del rapporto con la moglie Barbara, già provata per la relazione extraconiugale per cui l’aveva perdonato, una ferita che adesso viene riaperta con il dubbio che il marito sia colpevole dell’omicidio.
Adesso partirà il dibattimento nell’aula di tribunale, indagini, sgambetti tra le parti, corruzione e colpi di scena.
Se facciamo riferimento al romanzo di Turow alla fine la colpevole è la moglie Barbara, ma spero che gli sceneggiatori si siano presi delle libertà, sennò sarebbe tutto troppo prevedibile.
Ultima annotazione. La tensione e l’angoscia sono visibili oltre che nelle interpretazioni degli attori anche nella fotografia. Quando i coniugi Sabich discutono della loro tragica situazione, le luci sui volti sono soffuse, la fotografia è in chiaroscuro. Un applauso.
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