Sulle parole – anzi, la parola – di papa Francesco alla CEI hanno scritto in molti e mi pare che lo abbia fatto in modo adeguato Federico Pichetto proprio sul “Sussidiario”. Questo però mi dà lo spunto per riprendere, sia pure brevemente, la questione della sessualità nella Chiesa, che da anni suscita molte discussioni e non poche divisioni.



Che Dio, che non è scemo, abbia dotato l’umanità di un modo di pro-creare che comporta normalmente un particolare piacere è un dato di fatto. Avrebbe potuto inventarsi altri metodi, ma ha fatto questa scelta per favorire la generazione della vita stabilendo un rapporto di particolare unità tra l’uomo e la donna; tale rapporto, nel tempo, ha fatto maturare anche l’idea che attorno a questo rapporto, e alla vita da esso generata, si formasse quella che oggi chiamiamo famiglia.



Questo legame stabile è stato percepito come il luogo adeguato in cui generare la vita, educare chi era generato e sostenere la persona adulta, bisognosa di amore per uscire dalla solitudine esistenziale.

Nel cristianesimo poi a questo rapporto, detto “matrimonio”, è stata concessa da Gesù la grazia del sacramento. Questa grazia sostiene la vita della famiglia cristiana, ma questo non significa che chi sia stato generato fuori dal matrimonio abbia un valore minore di chi lo è stato nel matrimonio.

Il sesso, insomma, di sua natura non è una cosa “sporca”, ma una cosa sacra, e come tale andrebbe vissuto da chi vuole rispettare fino in fondo la natura umana. Non educare alla sessualità, neanche parlarne o limitarsi a mettere in evidenza solo quello che non si deve fare, purtroppo ha creato ingiustamente in tanti ambienti cattolici una specie di complesso di inferiorità di fronte a chi ha fatto della cosiddetta rivoluzione sessuale una bandiera e spesso un obiettivo di propaganda politica.



Che poi i paladini del sesso libero, o del “libero amore”, come si diceva una volta, non siano spesso esenti da drammi passionali (come gli altri…) è un dato di fatto su cui occorrerebbe riflettere più seriamente.

Personalmente alle coppie che vogliono essere aiutate a prepararsi al matrimonio, di solito propongo all’inizio il tema di che cosa sia l’amore vero. Non lo faccio con una lezione, ma vedendo insieme una buona parte della Traviata di Giuseppe Verdi.

Quest’opera, legata in buona parte anche alle vicende personali del grande musicista, comincia con il noto brindisi in cui l’amore è presentato semplicemente come ricerca del piacere: “Tutto è follia nel mondo quel che non è piacer…”.

Poi, però, Alfredo Germont si scopre colpito da un’esperienza nuova di amore che poco a poco comincia a condividere con Violetta. Si tratta di “quell’amor che è l’anima/ dell’universo intero, / misterioso, altero,/ croce e delizia al cor”.

Questa scoperta diventa il tema fondamentale anche dal punto di vista musicale dell’opera. Si tratta di un amore che è l’anima dell’universo intero, cioè accomuna l’affetto degli amanti a un progetto di bene che è in tutta la creazione. È “misterioso”, cioè tutto da scoprire, e “altero”, nel senso latino del termine, cioè che ha un’origine che è più grande di qualcosa di puramente umano. Questo amore è insieme “croce e delizia” proprio perché la passione è insieme generatrice di piacere, ma anche di capacità di soffrire per l’amato.

È quello che vive fino in fondo Violetta, che nel momento in cui capisce che sta per morire regala ad Alfredo un suo ritratto. Questo non è per lui, ma per la ragazza che un domani potrà incontrare e sposare. E per loro Violetta morente si impegna a pregare “nel ciel tra gli angeli”. E così Violetta muore felice non perché ha posseduto l’amato, ma perché ha prefigurato per lui un destino di felicità. Infatti, l’opera si conclude con un grido di Violetta che non è di disperazione, ma “Oh gioia!”.

Paradossalmente si potrebbe anche dire che in questo dramma si palesa il valore della verginità intesa non come rinuncia, ma come modo libero di amare il destino dell’altro.

In questo senso concedetemi un’ultima considerazione su un tema assai delicato, che certo richiederebbe un approfondimento al di là di un articolo. Parlo della questione del celibato e della possibilità che anche nella Chiesa cattolica di rito latino si possano ordinare uomini sposati.

Quando ero vicario generale dell’unica Amministrazione apostolica dell’Asia Centrale, avevo anche alcuni preti greco-cattolici di una Chiesa cattolica di rito orientale, che erano sposati. Erano stati ordinati preti solo dopo che si erano sposati e col consenso della moglie. Erano buoni preti e buoni padri di famiglia. Anche nella loro Chiesa ci sono però monaci, consacrati nel celibato, che con la loro testimonianza di vita indicano a tutti il comune destino, la Vita Eterna.

Prima dell’ordinazione c’era stata una verifica a quale stato di vita il Signore li aveva chiamati. Da noi una possibilità di questo tipo potrebbe anche esserci, e certo non per affrontare la diminuzione delle vocazioni. Questa dipende dalla diminuzione della fede e a questa, comunque, si deve rispondere innanzitutto con un’indispensabile rivalutazione della verginità consacrata.

 

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