Quando nell’autunno del 2016 la curia romana chiamò Calogero Marino a diventare vescovo di Savona, il motivo che determinò con più forza quella scelta fu l’approssimarsi del giorno in cui la diocesi ligure avrebbe dovuto rispondere in tribunale del comportamento tenuto dai suoi pastori mentre don Nello Giraudo perpetrava abusi su minori a lui affidati, nella più completa omertà delle gerarchie dell’epoca.



Il problema, per quei signori attempati e stanchi che tentennavano di fronte all’abominio, era il prestigio della Chiesa e il danno d’immagine che ne sarebbe venuto: nessuna attenzione ai ragazzi, al fatto che storie già fragili e deboli fossero state ancor di più violate da chi si era pubblicamente schierato per la fragilità e la debolezza.



Fu così, con quell’atteggiamento pilatesco che già molti innocenti condannò nella storia, che la Chiesa savonese si arroccò dietro l’ultima presunzione di non dover rendere conto a nessun tribunale umano, ritenendosi già assolta da quello divino. Il punto è che lo scandalo scoppiò e che quella ritrosia in nome della “casta” costò all’immagine della Chiesa ben più di quello che sarebbe costato dire la verità.

Già, perché oggi che l’associazione delle vittime di quegli abusi chiede cinque milioni di euro in risarcimento per il danno biologico subìto ed è chiaro a tutti che ciò che la Diocesi ha perso in quegli anni sciagurati sono la dignità e la libertà. Quale autorevolezza può avere una Chiesa delegittimata nella sua essenza? Quale pastorale può proporre una comunità legata mani e piedi allo stigma del proprio passato?



Per questo nell’autunno di quasi tre anni fa fu scelto Calogero Marino: perché fosse argine a questo giorno, ma soprattutto perché fosse se stesso. Il mite uomo di curia, anch’esso ligure ma di origini lombarde, è colui che in questo frangente può davvero fare la differenza, chiedendo scusa. Scusa non per colpe sue, la rettitudine morale dell’uomo è indiscutibile, ma scusa per chi è stato pastore prima di lui, per chi prima di lui ha avuto modo di emendarsi del proprio male e non lo ha fatto.

Una Chiesa che torna a chiedere scusa, che riparte davvero, che si assume il proprio onere di fronte alla storia, sarebbe il primo vero miracolo di un decennio difficile e maledetto per il cattolicesimo italiano. Il vescovo di Savona lo sa, sa che è la verità a fare liberi i credenti, e si rende conto che la verità è l’unica arma che gli sia davvero rimasta.

Sono in tanti a scommettere che monsignor Calogero, chiamato alla prova decisiva, potrebbe deludere, ma non sono pochi coloro che – al contrario – ritengono questa strada stretta e piena di insidie il viatico che da Roma stanno aspettando per offrire al vescovo ponentino il trono più ambito, quello dove – da gennaio 2020 – dovrà sedere il successore di Angelo Bagnasco.

È questo che nella curia della Superba temono: di essere tagliati fuori da una decisione che potrebbe portare uno straniero a riparare l’ammaccata Chiesa ligure, il primo vescovo di Genova non nato e non cresciuto all’ombra del cardinal Siri. E per questo, sonoramente e mestamente, giudicato molto pericoloso. Capace di tutto, anche di chiedere scusa.