Il Sinodo dell’Amazzonia ha riacceso le “luci” interne alla Chiesa sul tema spinoso e mai del tutto “accantonato” sui preti sposati, con quella relazione finale che – citando letterale papa Francesco – parla di «strade nuove da intraprendere». Tanto è bastato per accendere la polemica quanto interna alla Chiesa Cattolica, quanto esterna con pressioni continue affinché le diocesi aprano alla presenza di preti, vescovi e religiose sposati verso una Chiesa più “aperta”. Nell’attesa di capire come si evolverà la vicenda e come soprattutto la dottrina social della Chiesa ribadirà che l’apertura non significa solo la “secolarizzazione” di ogni qualsivoglia desiderio rivendicato come diritto, è interessante vedere come sia già in atto in corso una “riforma” avanzata dal più conservatore e illuminato teologicamente degli ultimi Pontefici, Papa Benedetto XVI: come scrive Filippo Di Giacomo su “Il Venerdì di Repubblica” «Ordinare preti uomini sposati? Nella Chiesa cattolica latina è una prassi decennale. Sono passati già due lustri (il 4 novembre scorso) dall’entrata in vigore della Costituzione Apostolica di Benedetto XVI Anglicanorum coetibus con la quale papa Ratzinger introduceva accanto ai due tradizionali “riti latini”, il romano e l’ ambrosiano, quello che riunisce i fedeli di tradizione anglicana». Dopo l’abbraccio fraterno tra una parte della chiesa anglicana – sulla scia del Santo Cardinale John Henry Newman – e la Chiesa guidata da Papa Ratzinger, intere parrocchie e sacerdoti hanno fatto rientro nella Chiesa Cattolica mantenendo però le tradizioni liturgiche e sociali della Chiesa Anglicana.
LA RIFORMA DI PAPA RATZINGER, I PRETI SPOSATI E…
Secondo Di Giacomo questo sarebbe il “segnale” di una Chiesa che si sta già autoriformando al proprio interno: «il loro ministero sacerdotale è talmente apprezzato da spingere i vescovi locali a farli diventare parroci anche di parrocchie di rito romano, fin qui abituate ad avere solo pastori celibi. E il loro inserimento non solo è stato pacifico, ma gradito da fedeli persino felici nel vederli vivere sereni in famiglie spiritualmente motivate e zelanti». Mentre dunque la discussione a livello centrale – dopo il Sinodo – si concentra sui “viri probati” e la possibilità di aprire a sacerdoti sposati per combattere aree del mondo con forte carenza di preti, più anime interne alla Chiesa mostrano l’esempio dei sacerdoti ex anglicani come possibile strada da seguire anche sul fronte Amazzonia. «Se uno non vuole essere prete deve essere prima diacono se vuole essere tra i ‘viri probati’, prima si deve essere ‘viri probati’ diaconi. Insomma, si deve andare per gradi», spiegava così poche settimane fa il Cardinal Christoph Schonborn anche lui tra i padri del Sinodo per l’Amazzonia. Già il Cardinal Muller (l’ex Prefetto della Congregazione della Dottina per la Fede) aveva avvertito tempo fa dei rischi dietro la “riforma” tout-court dei preti sposati: «non è una qualsiasi legge che può essere cambiata a piacimento. Ma ha profonde radici nel Sacramento dell’ordine. Il prete è rappresentate di Cristo sposo e ha una spiritualità vissuta che non può essere cambiata». Non solo, per l’Ex Sant’Uffizio il problema del collasso morale interno alla Chiesa non si risolve certo con l’apertura ai preti sposati: «il vero problema – per Müller – è un altro, ossia «il mancato rispetto del sesto comandamento da parte di molti. Quello sugli atti impuri che non vanno commessi». Papa Francesco stesso lasciando “porte aperte” badava anche a precisare come il solco della tradizione di Cristo non può essere “dimenticato”: «Chiesa deve essere sempre riformata, salvando però la tradizione che è la salvaguardia del futuro, non la custodia delle ceneri».