Cos’è la rete sociale Prevent

All’indomani degli attentati di Londra del 7 luglio 2005, compiuti da terroristi musulmani, l’allora primo ministro inglese Tony Blair annunciò una serie di politiche contro la radicalizzazione islamica, istituendo anche il progetto governativo Prevent. Concretamente si tratta, ancora oggi, di un’alleanza tra insegnanti, esponenti delle varie comunità e poliziotti per individuare e segnalare giovani vulnerabili e a rischio, al fino di inserirli in un percorso educativo e di tutoraggio.



L’idea alla base di Prevent, insomma, era lodevole e, sulla carta, avrebbe aiutato a prevenire (da qui il nome) eventuali rischi di estremizzazione o radicalizzazione, tuttavia secondo un recente allarme lanciato dal quotidiano inglese The Times, il risultato sarebbe tutt’altro che positivo. Ben presto dietro alla rete sociale di prevenzione che si sarebbe dovuta creare con Prevent, si è sviluppata l’idea, all’interno delle comunità musulmane, che si trattasse di un becero mezzo razzista per spiare e controllare l’islam. Trattandosi, di fatto, di una rete sociale, senza l’appoggio delle persone influenti all’interno delle comunità (quali, appunto, insegnanti, imam e leader stessi) il programma non può, per sua natura, funzionare correttamente.



Prevent: tra fallimenti e razzismo

Insomma, per quanto il governo ci abbia investito (il quotidiano parla di un budget annuo di 40 milioni di sterline), e per quanto sulla carta il programma Prevent sembrasse veramente rivoluzionario, nulla sembra funzionare correttamente. Secondo il quotidiano The Times, infatti, le maggior parte delle denunce arrivate all’interno della rete sociale sono relative a banalità, spesso a fraintendimenti o non hanno nulla a che fare con l’estremismo o la radicalizzazione.

Delle 6 mila denunce annuali che Prevent in media riceve, quasi nessuna riguarda persone che sono state poi concretamente ritenute estremiste, oppure a rischio radicalizzazione. Il Times parla segnalazioni false (come un ragazzino che si lamentava della sua scuola), oppure di frasi estrapolate dal contesto originario o fraintese, come il caso dell’11enne musulmano venne segnalato dall’insegnante che, durante un dibattito in classe, ha frainteso la parola “elemosina” con “armi” (in inglese “alms” e “arms”). Gli insegnanti vengono spinti a spiare e sorvegliare i ragazzini e coloro che non c’entrano nulla, denuncia il quotidiano, mentre la vera radicalizzazione avviene nelle carceri, su internet e per le strade, lontana dalle comunità strettamente sorvegliate, e pacifiche.