Il Fondo monetario internazionale ha diffuso ieri il nuovo World Economic Outlook, rivedendo al ribasso le stime di crescita del Pil a livello globale per quest’anno, dal +2,9% al +2,8%. Secondo l’organismo internazionale con sede a Washington, vi sono incertezze legate anche all’instabilità dei mercati finanziari.
Inoltre, l’inflazione scenderà più lentamente rispetto alle attese. Per quanto riguarda l’Italia, il Fmi prevede una crescita del Pil dello 0,7% quest’anno e dello 0,8% il prossimo. Abbiamo chiesto un commento di questi dati a Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss.
Quale indicazione nel World Economic Outlook a livello generale le sembra più significativa?
Sul fronte della crescita, il Fmi prevede un rallentamento della crescita mondiale per il prossimo quinquennio che si aggirerà, in media, attorno al 3% annuo. Per mettere questo dato in prospettiva, occorre considerare che, nel corso degli ultimi vent’anni, le previsioni di medio-termine non sono mai state così basse, attestandosi su valori medi del 3,8%. Tra i fattori che hanno maggiormente condizionato questa valutazione vi sono l’aggressione russa in Ucraina e le sue gravi conseguenze sul piano energetico e della sicurezza alimentare, nonché l’inflazione e la politica monetaria restrittiva che ne è seguita. Le grandi economie emergenti – Cina e India – continuano a trainare l’economia mondiale contribuendo per metà della sua crescita complessiva. In particolare, l’India registra delle previsioni particolarmente favorevoli con un Pil in aumento del 5,9% e del 6,3% per quest’anno e il prossimo, rispettivamente. La Russia, poi, riprende a crescere sia pure su valori più modesti rispetto alla media storica a causa, soprattutto per il prossimo anno, di prezzi attesi dell’energia più bassi rispetto a quelli prevalenti ora o l’anno passato. Detto questo, con un Pil che dovrebbe crescere dello 0,7% quest’anno e dell’1,3% nel 2024, non sta proprio implodendo per l’effetto delle sanzioni occidentali…
Cosa pensa invece riguardo le previsioni sull’Italia, anche in confronto a quelle del Governo?Vede qualche “messaggio” importante per il nostro Paese e per l’Europa che deve affrontare anche la riforma del Patto di stabilità e crescita?
Le previsioni per l’Italia sono sostanzialmente allineate all’ultimo esercizio previsivo del Fmi, con una crescita attesa rispettivamente dello 0,7% e dello 0,8% per il 2023 e il 2024. Rispetto alle previsioni formulate nel Def, i valori del Fmi sono più prudenti ma non disallineati. Inquadrato nel più ampio contesto dell’Eurozona, il dato per l’anno corrente è abbastanza in linea (0,8% per l’area monetaria); diventa addirittura favorevole se rapportato alla Germania per la quale il Fmi prevede una leggera contrazione nell’anno; tuttavia, il distacco tra la previsione per l’Italia e quella per l’Eurozona si manifesta nel 2024 con un tasso di crescita atteso per quest’ultima dell’1,4%. La forbice riflette il diverso potenziale di crescita stimato per l’Italia rispetto all’Eurozona pari allo 0,8% per la prima e all’1,4 %. Colmare questa forbice con investimenti e l’alleggerimento degli oneri, anche regolamentari, alle imprese e al lavoro rappresenta la priorità assoluta. Ne deriverebbero, peraltro, evidenti benefici in termini di sostenibilità del welfare e della politica fiscale con ricadute favorevoli rispetto ai vincoli del Patto di stabilità, a prescindere da come sarà riformato.
A proposito di Patto di stabilità, si è parlato della proposta tedesca di fare in modo che sia prevista, per i Paesi più indebitati, una riduzione del rapporto debito/Pil di almeno un punto l’anno. Cosa ne pensa?
Ritengo poco prudente incastonare regole puntuali di riduzione del debito cadenzate annualmente in questa fase caratterizzata da molteplici shock – di domanda e di offerta, macroeconomici e geopolitici – e dalla conseguente, elevata incertezza che ne deriva. Detto questo, l’Italia e i partner europei si muovono condividendo il medesimo obiettivo di fondo che è la riduzione del rapporto debito/Pil. Ebbene, il Fmi prevede che alla fine del prossimo quinquennio tale rapporto si attesti, per l’Italia, al 131,9%, in diminuzione significativa dal 144,7% del 2022. Nel caso della Francia, per esempio, il rapporto debito/Pil, sebbene su valori inferiori, è previsto in aumento di quattro punti percentuali nel medesimo periodo di riferimento.
Le previsioni del Fmi ci forniscono anche qualche elemento per capire come potranno muoversi nei prossimi mesi la Fed e la Bce?
L’inflazione continua a diminuire grazie alla discesa dei prezzi energetici. Negli Stati Uniti, dovrebbe scendere dal 3,8% previsto per l’anno in corso al 2,2% per il 2024. Per l’Eurozona, il Fmi si aspetta il 4,9% e il 3%, rispettivamente, per questo e il prossimo anno. Tuttavia, si tratta di previsioni che riguardano l’inflazione complessiva, mentre quella di fondo si conferma più persistente. Considerato che il Fmi ritiene poco probabile una vera e propria crisi bancaria, le banche centrali continueranno con la stretta monetaria, introducendo ulteriori rialzi ai tassi di interesse. In altre parole, non ci si attende un cambio di rotta.
Nei giorni scorsi su un quotidiano italiano si è parlato dell’allarme di Fmi e Bce sui fondi immobiliari. Questo può rappresentare un segnale non rassicurante sul sistema bancario?
Da tempo il Fmi avverte dei rischi legati, più in generale, agli intermediari finanziari non bancari il cui peso è cresciuto significativamente dalla crisi del 2007-09, anche alimentato dal desiderio di sfuggire alle strutture della regolamentazione bancaria. È chiaramente impossibile identificare il focolaio della prossima crisi, ma questo settore va attentamente monitorato perché opera in contropartita del settore bancario e tende ad avere estese ramificazioni internazionali. Pertanto, se il focolaio si originasse nel settore finanziario non bancario, rischierebbe di estendersi rapidamente alle banche. Di qui, il richiamo del Fmi e delle banche centrali a vigilare.
(Lorenzo Torrisi)
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