Venerdì scorso sono state diramate le previsioni economiche del Fondo monetario internazionale. Il giorno precedente all’Arel a Roma, in un seminario coordinato da Paolo Guerrieri, Ref ricerche e Prometeia hanno presentato i loro “scenari” dell’economia internazionale e italiana. “Scenari” è un termine più appropriato di previsioni data l’incertezza che grava sull’economia mondiale e, quindi, su quella italiana. In Italia, in aggiunta, vi sono le fibrillazioni tra le forze politiche nella prospettiva della fine della legislatura, delle elezioni previste per la prossima primavera (senza ancora una legge elettorale concordata) e della riduzione di un terzo del numero dei parlamentari.



L’incertezza è particolarmente seria in Italia. Occorre distinguere tra incertezza e rischio. Il secondo può essere stimato facendo ricordo al calcolo delle probabilità, dalle sue versioni più semplici a quelle elaborate come le cosiddette “simulazioni di Montecarlo”. Molto più difficile cogliere l’incertezza. Circa trent’anni fa, Robert K. Dixit and Robert S. Pindyck hanno tracciato una strada nel libro Investment under Uncertainty (Princeton University Press, 1994), utilizzando il metodo delle “opzioni reali”. Metodo che è stato, per così dire, “importato” in Italia nel libro mio e di Pasquale Lucio Scandizzo Valutare l’Incertezza (Giappichelli, 2003) ed è stato applicato per grandi investimenti pubblici. Il metodo si adatta perfettamente alle grandi opere pubbliche, ma è meno adatto alla formulazione di politiche economiche specialmente se si è alle prese con “choc multipli”, come scrive il Fmi: agli “choc” di una pandemia che non è ancora terminata (e si annunciano altre potenziali epidemie importate da terre lontane, come il “vaiolo” delle scimmie), si aggiungono quelle causate dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, un’aggressione che dura ormai da tre mesi, ha già provocato crimini contro l’umanità (oltre che il dispregio delle regole di base del diritto internazionale) e non ci sono ancora prospettive di “cessate il fuoco”.



Previsioni Fmi e “scenari” Ref ricerche e Prometeia essenzialmente concordano: un rallentamento della crescita quest’anno (2,45-2,5%) e uno ulteriore (1,5-1,75%) il prossimo con l’inflazione che toccherebbe il picco (5,5%) quest’anno per decelerare a partire dal prossimo. Visto in questo quadro, esaurito o quasi lo stimolo delle riforme (se verranno effettivamente realizzate superando particolarismi che vanno da alcuni settori della magistratura ai concessionari di stabilimenti balneari) e degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’economia italiana tornerebbe su una crescita lentissima e il miglioramento del reddito pro-capite dipenderebbe essenzialmente dal decremento demografico. Non è una prospettiva brillante, anche perché gravata da un forte fardello del debito, della Pubblica amministrazione, un terzo del quale finanziato sul mercato internazionale.



Una prospettiva “giapponese” (alto debito della Pubblica amministrazione, economia che ristagna) come delineano alcuni economisti di punta di alcuni partiti di Governo? Non proprio adatta all’Italia, a mio avviso, sia perché il debito della Pubblica amministrazione giapponese è tutto finanziato all’interno, sia perché la società nipponica (che ho avuto modo di conoscere bene) non ha le differenze e le tensioni sociali che ha l’Italia. La pandemia Covid-19, poi, non ha danneggiato il Sol Levante come l’Italia e l’Impero è lontano da una guerra essenzialmente europea.

Quindi, meglio togliersi dalla testa una prospettiva di un’Italia sushi e puntare su un tasso di crescita reale. Meglio anche dimenticare il libretto di Stefano Sylos Labini (è un geologo e farebbe bene a non occuparsi di economia) in cui si propone di rilanciare l’economia italiana con una “moneta fiscale” tipo bonus al 110%. Saremmo travolti da debito e inflazione. Purtroppo ha trovato qualche appassionato in quella che potremo chiamare “l’Italia putiniana”.

Come puntare su una maggiore crescita? In primo luogo, una seria spending review in modo da ridurre, o meglio ancora eliminare, la “moneta fiscale” inutile, a partire dal Reddito di cittadinanza. In secondo luogo, una politica industriale mirata a sostenere i comparti produttivi. In terzo luogo, incoraggiando e incentivando chi promuove con successo la produttività.

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