L’Ocse ha diffuso ieri il suo Economic Outlook, nel quale prevede una crescita del Pil globale del 3,2% quest’anno e del 3,3% nel 2025 e nel 2026. Per quanto riguarda il nostro Paese, l’organizzazione con sede a Parigi stima un +0,5% nel 2024, un +0,9% nel 2025 e un +1,2% nel 2026. Secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «nel rapporto dell’Ocse si parla di una crescita globale resiliente nel 2025 e 2026, ma i dati mostrano una certa eterogeneità tra le diverse aree del mondo. Infatti, i Paesi del G20 mediamente crescono oltre il 3% tra il 2024 e il 2026, gli Stati Uniti restano sopra il 2%, la Cina supera il 4% e l’India sfiora il 7%, mentre l’Eurozona dovrebbe arrivare all’1,5% nel 2026 e questa mi sembra una previsione un po’ ottimistica considerando la situazione dei suoi principali Paesi membri».



In effetti Germania, Francia e Italia l’anno prossimo resterebbero con una crescita inferiore all’1%…

Sì, solo la Spagna viene vista con una dinamica di crescita simile a quella americana, ma l’Eurozona nel suo complesso appare tra “i malati” mondiali che necessiterebbero di qualche cura.



L’Ocse sottolinea che la crescita dell’Eurozona si rafforzerà grazie a una ripresa della domanda interna. Cosa ne pensa?

In effetti, la domanda interna sarebbe l’elemento cruciale per una spinta all’economia europea. Il problema è che l’incertezza domina sovrana ormai nei rapporti internazionali e questo è un fattore che, come l’Ocse stessa riconosce, porta a una crescita lenta. Tra l’altro nel rapporto si parla molto della dinamica inflazionistica in rallentamento, che dovrebbe aiutare la crescita, ma dobbiamo ricordare che si tratta pur sempre di un continuo aumento dei prezzi che influisce negativamente sul tenore di vita dei cittadini, se i loro salari non sono cresciuti quanto meno allo stesso modo.



Secondo lei, di fronte a questa situazione non certo brillante cosa si dovrebbe fare?

Credo che occorra individuare alcuni temi di rilievo, che influenzano le dinamiche complessive, e tra questi, a mio avviso, non si possono non menzionare l’intervento pubblico e il welfare state.

Perché li ritiene così importanti?

La crescita dipende sempre di più da innovazioni che non sono necessariamente quelle legate allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, ma che sono comunque fondamentali, per esempio per individuare una modalità di produzione dell’energia più rispettosa dell’ambiente che consenta di aumentare il livello della crescita economica. Per questo tipo di innovazioni è cruciale l’intervento pubblico.

E per quanto riguarda il welfare state?

Dobbiamo sperare che non ci sia qualche nuovo “intoppo”, un nuovo shock negativo per l’economia, pensiamo solo a una nuova guerra o all’acuirsi di quelle esistenti. Tuttavia, qualora si verificasse, solamente uno stato sociale ben funzionante potrebbe consentirci di uscirne indenni. Stiamo attraversando un periodo molto turbolento che non sappiamo quanto durerà e avremmo più che mai bisogno di intervento di largo raggio di protezione sociale.

Per l’intervento pubblico e il welfare state occorrono, però, risorse che sembrano difficili da reperire viste le nuove regole del Patto di stabilità…

Temo che effettivamente i cordoni della borsa verranno stretti. Se si esagerasse con l’austerità, allora dovremmo prepararci a un futuro non particolarmente brillante.

A proposito del periodo turbolento che stiamo attraversando, non c’è il rischio che le tensioni sullo spread francese possano creare un problema ai debiti sovrani europei?

Questo rischio esiste, anche se non penso che ci sarà una situazione come quella vissuta dall’Europa quasi quindici anni fa. Spero che la Bce e la Commissione europea nel caso intervengano prontamente per evitare conseguenze spiacevoli che renderebbero ancora più difficile la situazione economica del nostro continente che, come detto poc’anzi, già non appare brillante.

(Lorenzo Torrisi)

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