L’Ocse ha diffuso ieri le nuove stime di crescita dell’economia all’interno del suo Interim Economic Outlook, nel quale si legge che “dopo il crollo nella prima metà dell’anno, la produzione economica si è rapidamente ripresa in seguito all’allentamento delle misure per contenere la pandemia da Covid-19” e che “ripristinare la fiducia sarà fondamentale per il successo della ripresa delle economie, e per questo dobbiamo imparare a convivere in sicurezza con il virus”. Secondo l’organizzazione con sede a Parigi, l’Italia vedrà il Pil scendere del 10,5% quest’anno, per poi rimbalzare del 5,4% il prossimo. Nel complesso, come evidenzia Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, si nota «una crescita che, anche nello scenario più favorevole, rimarrà al di sotto del tendenziale formulato a novembre 2019. Si dà per scontato che il vuoto di produzione e di consumo creatosi tra il primo e il secondo trimestre di quest’anno non venga recuperato e che dal quarto trimestre in poi la traiettoria di crescita si allinei a quella pre-crisi, inevitabilmente però restando distante da quest’ultima».
È come se fosse una ripresa a V, ma senza ritorno ai livelli precedenti la pandemia.
È così. E qui nasce una questione molto delicata secondo me, perché in quel vuoto di produzione e di consumo c’è stato un accumulo di debito. E nel frattempo le risorse del Next Generation EU, che non arriveranno prima dell’anno prossimo, non ci consentiranno di tornare in tempi brevi ai livelli di Pil precedenti. Nella “nuova normalità” avremo quindi un rapporto debito/Pil che in Italia passerà dal 130% circa pre-crisi al 160% della fine di quest’anno. Questi 30 punti rischiano di poter essere recuperati solo nell’arco di due-tre decenni.
E questo sembra collegarsi a quanto raccomanda l’Ocse stessa ai policymakers: non ripetere gli errori del passato e non ritirare troppo presto il supporto fiscale all’economia…
Esatto, l’austerità che ci ha messo in ginocchio nel 2012-13 è un errore da non ripetere. Va da sé che per mettere in moto il privato in una crisi come quella attuale occorre che prima si muova il pubblico. Io penso che l’Ocse abbia in mente quanto avvenuto negli anni Trenta del secolo scorso, quando negli Stati Uniti si pensava che la Grande Crisi fosse stata superata e si sono tirati un po’ i remi in barca, e nel 1937 c’è stata una ricaduta dell’economia. Il messaggio è quindi quello di non ritirare le politiche anti-cicliche fintanto che il sentiero di crescita non si è stabilizzato.
Sembra essere quindi importante puntare sugli investimenti pubblici, ma anche non tornare alle regole del Patto di stabilità e crescita troppo presto, anzi magari ripensarle rispetto alla nuova normalità dove ci sarà un livello generale di debito pubblico elevato.
Sì, sicuramente l’Italia deve fare di più sugli investimenti pubblici visto che le risorse del Recovery fund arriveranno solo a metà dell’anno prossimo. Quando si parla di debito pubblico, il disavanzo corretto per il ciclo è importante. A parte domandarmi se dalle parti di Bruxelles chiameranno ciclo negativo questa violenta caduta del Pil determinata dalla pandemia, cosa che apparirebbe come una forzatura poco accettabile, a questo punto dovremmo poter introdurre un rapporto debito/Pil corretto non tanto per il ciclo, ma per l’effetto del Covid. Mi lasci aggiungere una cosa a proposito delle risorse del Recovery fund.
Prego.
Il loro ammontare è pari circa alla caduta del Pil che registrerà l’Italia quest’anno e non credo sia casuale. Al di là di questo, però, non eliminano un rischio importante, perché nel momento in cui il debito pubblico su Pil del nostro Paese si consolida al 160% non solo potremmo assistere a una risalita dello spread, ma anche vedere una situazione analoga a quella degli Usa degli anni Trenta di cui ho parlato prima, con la Bce che tira i remi in barca troppo presto.
La settimana scorsa, però, Christine Lagarde ha confermato che l’Eurotower porterà avanti il programma Pepp di acquisto di titoli di stato…
Sì, ho sentito anch’io le sue parole. Tuttavia, proprio mentre stava iniziando la conferenza stampa di giovedì, Bloomberg ha diffuso una notizia relativa a quanto avvenuto poco prima nel corso della riunione del board della Bce a proposito dell’apprezzamento dell’euro sui mercati valutari, dando indicazioni contrastanti rispetto a quello che la Presidente ha poi detto ai giornalisti. È chiaro che l’agenzia di stampa ha avuto una fonte tra gli altri appartenenti al board, ovvero i principali banchieri centrali europei. E questo è un problema serio.
Perché?
Perché a questo punto è lecito pensare che le promesse della Lagarde di essere pronta a intervenire sul mercato secondario dei titoli di stato qualora vi fossero problemi con i debiti pubblici possano essere fortemente contestate all’interno del board. Si ha l’evidenza di un fuoco amico contro la Presidente della Bce proprio quando dovrebbe dimostrare una leadership forte, capace di farle fare promesse molto credibili, ancor più del suo predecessore Draghi.
Come possiamo ovviare a questo problema?
Dovremmo poter avere, a questo punto anche all’interno dei Trattati europei, un parametro nuovo che oltre al disavanzo corretto per il ciclo consideri, come dicevo prima, il rapporto debito/Pil corretto per il Covid. Dal mio punto di vista la situazione migliore sarebbe avere una sorta di contabilità separata, e anche vigilata perché si facciano gli investimenti, per considerare il nostro debito su Pil ancora al 130%. Perché c’è da temere la volatilità dei mercati nel momento in cui diventa più debole il ruolo trainante delle promesse della Bce.
Quello che propone per il conteggio del debito pubblico è una sorta di moratoria oppure a un certo punto si tornerebbe a considerare questo parametro come avviene oggi?
Supponiamo di avere un rapporto debito/Pil del 160% che corretto per il Covid diventa del 130%. Se la garanzia della Bce funziona, grazie a una crescita che bene o male ci sarà e ai tassi a zero, il rapporto debito/Pil scenderà automaticamente. È chiaro che la “correzione” del debito/Pil a un certo punto dovrà venire meno, ma questo va fatto nel momento meno destabilizzante possibile.
Per esempio, quando il Pil tornerà ai livelli pre-Covid?
Sì, potrebbe essere quello il momento. Se le manovre di rimbalzo e crescita saranno efficaci, come tutti ci auguriamo, potrebbe non volerci molto. Teniamo anche conto che ci sono due fattori che influiscono positivamente sul debito. Il primo è l’avanzo primario, che l’Italia, salvo che nel 2009, ha fatto registrare in maniera continuativa negli ultimi 20 anni. Il secondo è un tasso di crescita reale dell’economia maggiore del tasso di interesse sui titoli di Stato, che è praticamente zero. Quindi siamo in una situazione in cui anche una crescita debole ci consentirebbe di tirare il fiato. A maggior ragione se riusciamo a mettere in movimento l’economia in modo credibile.
(Lorenzo Torrisi)