La Commissione europea, nelle sue previsioni autunnali, va oltre le stime dello stesso Governo sul Pil italiano del 2021. Bruxelles ritiene infatti che la crescita sarà del 6,2%, per poi portarsi al 4,3% nel 2022 e al 2,3% nel 2023, in linea con la media dell’Eurozona (4,3% e 2,4%, rispettivamente).

Entro la metà dell’anno prossimo il nostro Pil recupererà quindi i livelli pre-Covid, grazie soprattutto ai consumi privati. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.



Professore, cosa pensa di queste previsioni della Commissione europea riguardanti la nostra economia?

Ho l’impressione che descrivano un rimbalzo importante dovuto principalmente al risultato raggiunto dal Governo: sconfiggere il Covid tramite la tecnica tipica di Draghi, quella del whatever it takes. Il Premier ha fatto alcune concessioni ai partiti, tenendo però fermo il punto di fare in modo che si vaccinasse la più ampia fetta di popolazione, fornendo così una spinta alla ripresa economica tramite i consumi. Tuttavia, in tutta questa strategia c’è un punto debole.



Quale?

Sono state fatte concessioni che non hanno permesso di liberalizzare il mercato del lavoro, in particolare su due aspetti cruciali. Il primo è quello concernente lo sviluppo della produttività mediante i contratti aziendali: si è preferito probabilmente soprassedere per non disturbare i sonni delle confederazioni sindacali. Il secondo riguarda l’introduzione di contratti territoriali per fare in modo che si possano tarare i salari in base ai diversi livelli di costo della vita.

Non aver realizzato questi interventi cosa comporta?

Da un lato, avremo un tasso di disoccupazione che resterà sopra la media dell’Eurozona (9,8% rispetto a 7,9% nel 2021, 9,3% rispetto a 7,5% nel 2022 e 9,2% rispetto a 7,3% nel 2023) e un alto numero di posti vacanti visto che non si è nemmeno reso il mercato del lavoro più flessibile. Dall’altro, una ripresa economica che, pur rimanendo a un buon livello, si affloscerà nei prossimi anni.



Dunque recupereremo i livelli pre-Covid, ma poi resteremo dietro agli altri Paesi che hanno già compiuto questo recupero o lo concluderanno prima di noi.

Esatto. Tra l’altro prima del Covid eravamo già dietro agli altri Paesi, quindi il recupero dei livelli pre-pandemici è una magra consolazione. L’Italia purtroppo ha una produttività più bassa della media europea e questo pone un problema per il futuro del sistema previdenziale, perché il rischio è che non ci siano abbastanza contributi per pagare le pensioni. Servono quindi liberalizzazioni e riforme.

Draghi quindi deve restare a palazzo Chigi e realizzare queste riforme?

Sì, deve restare a palazzo Chigi, altrimenti rischierebbe di diventare presidente della Repubblica e vedere poi il Governo del Paese cascare sul problema delle riforme. Del resto, la Repubblica semi-presidenziale non esiste in Italia.

I partiti della maggioranza lasceranno fare a Draghi le riforme necessarie?

In realtà, a diversi partiti basta che sia garantita la loro sopravvivenza per tutta la legislatura. Non dobbiamo poi dimenticare che l’Europa ci chiederà di rientrare nei parametri del Patto di stabilità e crescita e con un potere economico, dato dalle riforme, si ha diritto a una sorta di “tregua” su questo punto. Non c’è molta scelta: dopo il Covid o si compie l’impossibile riduzione del debito, anche se è in corso la revisione delle regole europee, oppure si fanno le riforme.

Quali riforme?

Quelle che finora Draghi ha rinviato. Oltre a risolvere il problema del mercato del lavoro, occorre una seria riforma della giustizia per far funzionare il codice degli appalti ed eliminare la burocrazia in senso giuridico, cosa che eviterebbe il problematico formarsi delle sofferenze bancarie. Iniziando da queste riforme, le altre poi verranno da sé.

La Commissione europea prevede un’inflazione nell’Eurozona al 2,4% quest’anno e al 2,2% nel 2022. Considerando che il dato dello scorso ottobre è stato pari al 4,1% le sembrano stime credibili?

Non è facile rispondere, perché la situazione è piuttosto complicata. Ci sono alcune strozzature nelle forniture per certi settori produttivi, ma credo che possano risolversi con il passare del tempo. I prezzi degli idrocarburi stanno oscillando molto, probabilmente scenderanno e si stabilizzeranno, ma a complicare il quadro c’è la transizione ecologica, che influisce negativamente sulla stabilità dei prezzi. Per evitare che la situazione sfugga di mano è importante che ci sia una cooperazione internazionale e un’azione coordinata tra le Banche centrali.

(Lorenzo Torrisi)

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