Ieri l’Ocse, nel suo World Economic Outlook, ha tagliato le stime sull’economia mondiale a causa principalmente della guerra in corso in Ucraina. Gli impatti più pesanti sono naturalmente per i Paesi europei e in questo quadro per l’Italia si prevede una crescita del 2,5% quest’anno e dell’1,2% nel 2023. Numeri più bassi di quelli contenuti nelle previsioni dell’Istat diffuse martedì, anche per via di un’inflazione che erode il potere d’acquisto e mette a rischio i consumi. Come spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «l’inflazione rappresenta il fattore più impattante sui consumi, che a loro volta sono l’elemento costitutivo principale del Pil delle economie più avanzate».
Attraverso i dati dell’Ocse è possibile comparare la situazione italiana con quelli degli altri importanti Paesi europei. Da questo punto di vista com’è messa l’Italia?
Il nostro Paese tiene meglio di Francia e Germania. La Spagna fa un po’ meglio, anche perché nel 2021 ha avuto una crescita debole che non le ha permesso di recuperare i livelli persi durante la pandemia. Se guardiamo ai dati del primo trimestre dell’anno, l’Italia ha la crescita acquisita (+2,6%) più alta tra i principali Paesi europei, che le consente di essere sostanzialmente già arrivata ai livelli previsti da Ocse e Istat (2,5% e 2,8% rispettivamente). Francia e Germania, invece, dovranno darsi da fare per agguantare le previsioni dell’Ocse.
Quanto sono lontane?
La crescita acquisita della Francia è pari all’1,9% e la previsione Ocse è pari al +2,4%. La Germania parte invece dal +1,3% e deve arrivare al +1,9%. I dati del secondo trimestre saranno quindi decisivi per capire che piega sta prendendo l’economia europea e per valutare anche fino a che punto queste previsioni stanno azzeccando il trend reale. Il Mef è molto sicuro che il nostro Paese farà registrare una crescita congiunturale, l’ha scritto anche in un comunicato la settimana scorsa.
Secondo lei, il secondo trimestre si chiuderà con un rialzo?
La possibilità che il Pil italiano, soprattutto a livello comparato, faccia una bella figura nel secondo trimestre c’è tutta. È vero che c’è lo scenario devastante della guerra, il rischio di un impatto negativo del rialzo dell’inflazione, ma la nostra economia ha ancora a mio avviso elementi di resistenza pur in questo contesto così difficile.
Quali?
Non dobbiamo dimenticare il buon andamento degli investimenti: nel primo trimestre c’è stata una crescita record (+4,3% congiunturale e +11,4% tendenziale) di quelli in macchinari e mezzi di trasporto. Questo vuol dire che Industria 4.0 sta andando avanti, che nonostante tutto le imprese credono nel futuro e investono. Inoltre, sono cresciute le costruzioni non solo di abitazioni, ma anche di fabbricati non residenziali e altre opere: significa che si stanno muovendo un po’ di investimenti pubblici e abbiamo dalla nostra parte l’esecuzione, sia pure con tutti gli interrogativi del caso, degli investimenti del Pnrr. C’è poi il turismo che deve ancora scaricare il suo potenziale dopo una stagione invernale ancora penalizzata dalle restrizioni legate al Covid.
Si può quindi essere ottimisti?
Alla fine del primo trimestre la crescita tendenziale dell’Italia è stata del 6,2% e negli ultimi cinque trimestri (quarto trimestre 2020-primo trimestre 2022) la crescita è stata del 6,5%: si tratta di dati più alti di quelli di molti altri Paesi. Non si possono certo non considerare le pressioni inflazionistiche, le tensioni salariali e una certa sofferenza sociale, ma dal punto di vista comparato la nostra economia sta conservando una maggiore vivacità rispetto agli altri grandi Paesi europei.
L’Ocse ricorda comunque quella che è la principale minaccia, la crescita dell’inflazione, acuita dalla guerra e dagli effetti delle sanzioni economiche, in particolare per quel che riguarda l’energia.
Sì, il punto è che in un’economia moderna e avanzata i consumi delle famiglie valgono due terzi del Pil. Se quindi le famiglie vedono che c’è l’inflazione sale, che la guerra prosegue, questo non può non incidere sulle aspettative portando a un rallentamento evidente della crescita. Nel primo trimestre i consumi delle famiglie sono scesi dello 0,9% (2,3 miliardi) a livello congiunturale, ma l’Istat ha messo in evidenza che sono calati dell’1% quelli relativi a beni non durevoli e del 2% quelli per servizi (i quali però non hanno ancora beneficiato della ripartenza del turismo), mentre quelli legati a beni durevoli sono cresciuti del 2,7% e quelli di beni semidurevoli del 2,4%. C’è stata poi una crescita degli investimenti in abitazioni, che non sono tutti dovuti al superbonus al 110%, quindi in parte sono stati alimentati dalle famiglie. Complessivamente, quindi, le spese delle famiglie sono scese meno di 2,3 miliardi.
L’inflazione sta erodendo il potere d’acquisto dei lavoratori e anche per questo nelle ultime settimane sono cresciute le richieste di adeguamenti salariali. Cosa ne pensa?
La spirale prezzi-salari è una delle cose più disastrose che l’Italia ha sperimentato nei decenni scorsi. La politica salariale è materia da maneggiare con cura in questo frangente. Anche per questo mi sembra che il Governo stia un po’ alla finestra cercando di capire come evolverà la situazione. Un conto, infatti, è avere di fronte un’inflazione che si stabilizza al 6-7%, un altro è trovarsi davanti a una fiammata dei prezzi che in parte poi rientra, anche se non totalmente. L’esecutivo sta quindi cercando di tamponare la situazione con provvedimenti come la sterilizzazione delle accise e il bonus un tantum da 200 euro perché sa che introdurre in questo momento elementi di rigidità sull’adeguamento dei salari può essere controproducente nel cerare di mantenere la ripresa economica nel medio termine.
(Lorenzo Torrisi)
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