A dicembre il comparto del turismo è rimasto sui valori del 2019 (appena -0,4% come spesa dei viaggiatori stranieri). Buone le indicazioni sui servizi nel primo trimestre: a gennaio il PMI è balzato in area di crescita (51,2 da 49,9) e la fiducia delle imprese del settore ha continuato a risalire. Nonostante tutto ciò, il 2022 ha chiuso con 4.339 bar, 70 ristoranti, 259 alberghi e 119 sale da ballo in meno.
Se il bilancio totale dei fatturati, insomma, riesce a tenere, si restringe la platea delle imprese. Lo ha appena certificato il sistema camerale italiano con il suo Movimprese, precisando un dato ancora più preoccupante nel paragone con il 2019: -11.214 bar, -849 hotel, -233 discoteche (solo i ristoranti hanno un + davanti, grazie alla nascita di molti take away). Questa dunque la situazione delle imprese leisure, del tempo libero: una progressiva rarefazione degli operatori che consente agli altri una certa resilienza.
Un quadro complessivo sullo stato di salute dell’economia italiana arriva dal report “Congiuntura flash” del Centro studi di Confindustria. Il ribasso del prezzo dell’energia da fine 2022, che rimane comunque ben al di sopra dei livelli di due anni fa, sta favorendo la riduzione dell’inflazione in Italia ed Europa (seppur su valori ancora elevati) e questo lascia intravedere la fine del rialzo dei tassi entro il 2023 (non prima di un altro paio di aumenti). La fiducia risale, i servizi restano in crescita sostenuti dalla tenuta dei consumi, mentre industria e investimenti reggono a fatica i maggiori costi di credito e commodity. Il prezzo del gas resta relativamente basso a febbraio (56 euro/mwh in media), ben sotto i livelli registrati in tutto il corso del 2022 (ma era a 14 euro nel 2019). Anche il prezzo del petrolio sembra essersi stabilizzato (83 dollari al barile), su valori poco superiori a quelli pre-crisi (64 dollari). Viceversa, rincarano a inizio 2023 le commodity non-energy (+3,4% da ottobre), soprattutto i metalli (+16,8%), mentre i prezzi alimentari continuano a scendere (-1,2%).
L’inflazione italiana continua a calare (+10,1% a gennaio, +11,8% a ottobre), grazie alla minor variazione annua dei prezzi energetici (+43,1%, da +71,1%); ma la dinamica al netto di energia e alimentari è in salita (+4,6% da +4,2%), per la trasmissione dei rincari passati (energia) agli altri beni. A dicembre il costo del credito per le imprese italiane è salito ancora: 3,55%, da 1,18% a fine 2021. La quota di imprese industriali che ottiene credito solo a condizioni più onerose è cresciuta al 42,9% (da 7,3%). La stretta segue il rialzo del tasso ufficiale Bce, portato al 3,00% a febbraio e annunciato a 3,50% a marzo; poi secondo i future potrebbe esserci un ultimo ritocco nel 2023 e infine lo stop; il Btp a febbraio si è stabilizzato al 4,04%, poco sotto i picchi (era a 0,97%).
Migliora l’industria, ma non le costruzioni. La produzione ha registrato un rimbalzo a dicembre (+1,6%), dopo tre mesi di calo. Nel 4° trimestre la variazione è stata comunque negativa (-0,9%, dopo -0,6% nel 3°), ma poco marcata nella manifattura (-0,4%). E i dati qualitativi di gennaio dipingono uno scenario in miglioramento: il PMI è risalito in area di lieve espansione (50,4 da 48,5), la fiducia delle imprese ha smesso di scendere e oscilla su livelli modesti, gli ordini calano meno, le scorte si sono lievemente ridotte. Nelle costruzioni, invece, la fase di debolezza è attesa proseguire: il PMI è a 48,2 (da 47,0).
Tengono i consumi, investimenti in ripresa. Le vendite al dettaglio (di beni) fiacche nel 4° trimestre 2022 (+0,4% in valore, -1,8% in volume) confermano decisioni di consumo prudenti per l’alta inflazione; la spesa delle famiglie si è spostata ancor più verso i discount. Cresce invece la spesa per servizi (indice ICC). Per gli investimenti, lo scenario è migliorato a inizio 2023: le aspettative delle imprese sulla domanda sono tornate positive (+10,4 sul 1° trimestre il saldo delle risposte, -4,8 per fine 2022); e cresce la quota di aziende che prevede un aumento degli investimenti nei primi sei mesi (20,0 da 14,4).
Accanto a un’occupazione in aumento (+37mila a dicembre), Confindustria registra una scarsità di manodopera per una quota crescente di imprese (7,3% da 1,8% a fine 2019, nella manifattura), segnale di carenze quantitative e disallineamenti di competenze (ma meno che nell’Ue). Nel 2022 l’export italiano è aumentato del 7,7% in volume: Usa e Francia i primi mercati per contributo alla crescita; gli articoli farmaceutici e chimico-medicinali hanno fatto da traino. Tale ottima dinamica incorpora, però, una stagnazione nel quarto trimestre, che riduce il trascinamento al 2023 (appena +1%). Inoltre, a gennaio permangono segnali di rallentamento per l’export, in base ai giudizi sugli ordini esteri delle imprese manifatturiere. Nell’Eurozona, in Francia e Germania, dove a fine 2022 si è registrato un rallentamento del Pil meno intenso di quanto prospettato dagli analisti (+0,1% e -0,2%), gli indicatori qualitativi a gennaio tracciano un quadro più ottimistico, sebbene con forti asimmetrie: il PMI tedesco dei servizi torna in zona di espansione (50,7), mentre quello manifatturiero resta molto sotto la soglia (47,3); in Francia invece è la manifattura a risalire (50,5), mentre i servizi sono ancora deboli (49,4). Negli Usa, nel quarto trimestre 2022 il Pil è cresciuto più dell’atteso (+0,7%), grazie a consumi e investimenti e soprattutto all’impulso della spesa pubblica (+0,9%). A inizio 2023, si conferma debole l’attività industriale: piatta la produzione, in area recessiva il PMI e l’ISM (46,9 e 47,4) e l’indice dei Direttori degli acquisti di Chicago (44,3). Viceversa, le vendite al dettaglio sono salite (+3,0%), in linea con la maggiore fiducia dei consumatori (66,4), mentre l’inflazione è scesa poco (6,4%).
Le previsioni parlano di una dinamica bassa, ma positiva. La crescita del Pil italiano è prevista scendere da +3,9% nel 2022 (gonfiato dal trascinamento dal 2021), a un valore molto più basso nel 2023, ma decisamente migliore rispetto alle attese di pochi mesi fa. Nelle più recenti previsioni dei principali istituti, pur con delle differenze tra stime poco sopra o sotto il +0,6%, c’è una generalizzata e importante revisione al rialzo rispetto alle stime post-estate 2022, quando ci si aspettava una stagnazione o una moderata recessione, a causa del caro-energia. Nel corso del 2022 ha sorpreso favorevolmente l’ottima tenuta dell’economia italiana, che ha frenato nel terzo trimestre (ma meno del previsto) e poi ha limitato al minimo il segno meno nel quarto (appena -0,1%), quando il gas era ancora molto caro (94 euro/MWh in media): la maggior parte degli analisti si attendeva invece un calo del Pil di almeno mezzo punto percentuale nel 4° trimestre del 2022.
Tra i motivi della tenuta nel 2022, l’industria è calata per due trimestri, ma in misura moderata se si considera l’ampiezza dello shock sul costo delle materie prime; i servizi continuano a crescere, tranati dal turismo, sebbene si sia ormai esaurita la spinta data dalle riaperture post-Covid. Dal lato della domanda, il reddito reale totale delle famiglie non è crollato come si poteva temere a fronte dell’altissima inflazione e quindi i consumi sono rimasti su un sentiero di espansione (grazie anche all’extra-risparmio, accumulato dal 2020 fino a inizio 2022); come avviene per gli investimenti, sebbene con un progressivo rallentamento; l’export si è quasi fermato, ma nel peggiorato scenario è andato meglio di quanto segnalato dagli indicatori.
Le previsioni per il 2023 segnalano un’eredità positiva dal 2022. La variazione acquisita del Pil per il 2023, quindi, è risultata di +0,4% e non intorno allo zero come si pensava qualche mese fa. Già questo fattore “aritmetico” motiva una decisa revisione al rialzo della crescita annua del 2023. La maggior parte dei previsori, in realtà, ha alzato le stime prima che l’Istat pubblicasse il dato sul 4° trimestre (31 gennaio), perché si era già convinta che l’inverno fosse stato di stagnazione invece che di caduta. Le diverse valutazioni sul 4° trimestre 2022, in effetti, sono state fino a gennaio il motivo principale nei divari tra i diversi previsori, ma questo fattore si sta riassorbendo nei round di aggiornamenti di febbraio, che chiaramente tengono conto del dato effettivo.
Alla variazione già acquisita, va aggiunto il profilo trimestrale del Pil atteso per il 2023. Il prezzo del gas è molto più basso a inizio anno rispetto alle attese di fine 2022: una buona premessa per il primo trimestre, per i costi delle imprese e per il percorso di rientro dell’inflazione dal picco, iniziato a fine 2022. Confindustria prevede che il Paese eviti del tutto la correzione al ribasso dei livelli di attività, almeno in aggregato. Al tempo stesso, senza la caduta tra fine 2022 e inizio 2023 si tende a proiettare meno rimbalzo nel resto dell’anno. Anche perché i tassi di interesse più alti frenano gli investimenti e i consumi. Previsioni simili per l’Eurozona, dove le previsioni dei principali istituti hanno virato al rialzo rispetto a pochi mesi fa, quando inflazione e costo dell’energia non avevano ancora lasciato intravvedere un’inversione di tendenza.
Come per l’Italia, le stime per il 2023 si concentrano ora su prospettive più “rosee” (+0,5/+0,8%), ma resta qualche attesa più modesta. L’assenza di un segno meno a fine 2022 (+0,1% nel 4°), contro ogni aspettativa, influenzerà plausibilmente in positivo le prossime valutazioni dei previsori.
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