Con le previsioni di autunno diffuse ieri, la Commissione europea prende atto del rallentamento dell’economia in quest’ultima fase dell’anno (il 2023 per l’Ue dovrebbe chiudersi con un Pil a +0,6% rispetto al +0,8% stimato a settembre), ma punta a un rimbalzo nel 2024 (+1,3%), grazie alla riduzione dell’inflazione, e a un conseguente aumento dei salari reali, e alla tenuta del mercato del lavoro. Per quanto riguarda il Pil del nostro Paese, Bruxelles ritiene che chiuderà il 2023 con un +0,7% e che nel 2024 crescerà dello 0,9%. Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, inizia il commento a questi dati ampliando l’orizzonte: «L’economia cinese sta rallentando, e questo continua a ripercuotersi negativamente sulla Germania e a cascata sul resto dell’Eurozona e sull’industria italiana, che avrebbe bisogno venisse favorito un qualche rafforzamento della sua struttura. In Asia, tuttavia, l’India continua a crescere, mentre gli Stati Uniti, in un 2024 che si chiuderà con le presidenziali, difficilmente registreranno una brusca frenata».
Questo, quindi, potrebbe favorire il nostro export?
Sì, anche se non va trascurato il fatto che stiamo parlando di grandi player mondiali, la cui crescita potrebbe anche comportare spinte al rialzo per i prezzi delle materie prime, in particolare quelle energetiche, cui l’Europa, come ben sappiamo, è sensibile. Speriamo, quindi, che non ci siano aumenti dell’inflazione. Se il suo trend restasse quello attuale, infatti, è lecito ipotizzare ricadute positive per il Pil.
Poco fa ha detto che sarebbe necessario favorire un rafforzamento della struttura industriale italiana. In che modo lo si potrebbe fare?
Purtroppo abbiamo intaccato a poco a poco un apparato industriale che fino a una decina di anni fa era potenzialmente brillante. Dobbiamo, quindi, puntare su aumenti della produttività favorendo investimenti non solo privati, ma anche pubblici, come quelli in infrastrutture. Anche solo per prevenire gli effetti dannosi delle calamità naturali.
Il Commissario Gentiloni ha evidenziato che il calo dell’inflazione, insieme alla buona tenuta dell’occupazione, aiuterà la crescita dei salari reali e questo farà aumentare la domanda interna. Non è una scommessa azzardata?
Secondo me, è rischiosa. Certamente un miglioramento del potere d’acquisto delle famiglie è importante. In questo senso devo dire che, anche se, come evidenziato dalla Banca d’Italia, con la Legge di bilancio e la riforma fiscale aumenterà il reddito disponibile di molte famiglie, ciò non basterà a compensare l’effetto negativo del rialzo dei prezzi subito nell’ultimo anno e mezzo.
Vedendo il quadro complessivo di queste previsioni, da parte della Commissione europea ci sono l’analisi della situazione e le stime sulla crescita, ma a livello di indicazioni di politica economica, a parte qualche accenno ai conti pubblici, non si trova molto…
È un dato di fatto che manchino indicazioni costruttive di politica fiscale da parte di Bruxelles. Questo ormai è un problema strutturale. Sembra non si colga il collegamento che c’è stato per esempio in Spagna tra performance economica e interventi favorevoli al potere d’acquisto delle famiglie. Per fare un altro esempio, non si considera mai il problema dell’evasione dell’Iva come europeo, mentre dovrebbe esserlo dato che con quella imposta si finanzia anche parte del bilancio comunitario. In Europa continua a mancare il coordinamento tra politica monetaria e fiscale.
Questa mancanza di indicazioni di politica fiscale non è di buon auspicio rispetto alla riforma del Patto di stabilità.
Voglio sperare che dopo quel precario elemento positivo che è stato il Recovery fund non si torni alle martellate delle “strette espansive”, un modo un po’ cinico di raccontare l’austerità. In ogni caso sarebbe importante per l’Italia, nelle trattative ai tavoli europei, riuscire sempre a presentarsi con un avanzo primario piuttosto che con un disavanzo secco.
(Lorenzo Torrisi)
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