Nelle sue previsioni economiche invernali diffuse ieri, la Commissione europea ha rivisto al rialzo il Pil dell’Italia di quest’anno, dallo 0,3% allo 0,8%, e lievemente al ribasso quello del 2024, dall’1,1% all’1%. Un nuovo segnale incoraggiante dopo la stima dell’Istat sul 2022, che si sarebbe chiuso con un +3,9% rispetto al +3,7% programmato dal Governo, e la revisione all’insù delle previsioni del Fmi per il 2023, dal -0,2% al +0,6%.
Tuttavia, come ci ricorda Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, «nonostante questo miglioramento del quadro, se guardiamo al quadriennio 2020-23 l’Italia resta indietro di quasi un punto percentuale rispetto al resto d’Europa. Senza dimenticare che negli ultimi vent’anni abbiamo perso peso economico e politico: se nei primi anni Duemila l’Italia rappresentava il 18% del Pil europeo, oggi siamo arrivati al 12%. Dunque, è vero che ci sono notizie parzialmente positive a livello assoluto, ma a livello relativo continua a esserci qualcosa che non va nel nostro Paese».
È possibile capire cos’è che non funziona in Italia?
Basta notare che rimaniamo indietro rispetto agli altri Paesi europei nonostante le tantissime risorse che riceviamo da loro tramite il Pnrr. C’è una responsabilità immensa del nostro Paese, cui ha compartecipato l’Europa, relativa all’incapacità amministrativa, che risulta evidente dalle previsioni della Nadef 2022 secondo cui alla fine dell’anno scorso avremmo speso solo 20,5 miliardi dei 43,3 a disposizione tramite il Pnrr. Attendiamo il dato definitivo, ma anche se avessimo centrato quell’obiettivo non saremmo riusciti a spendere fondi pari all’1% di Pil. E non sarebbe in ogni caso un buon viatico rispetto alle nuove risorse che arriveranno quest’anno da Bruxelles.
Perché parla di una responsabilità italiana e di una corresponsabilità europea?
Il problema dell’incapacità amministrativa non è certo nuovo, ma ciò nonostante non è stato previsto un investimento serio nella Pubblica amministrazione dopo un costante svuotamento delle piante organiche realizzatosi negli ultimi vent’anni. Ed è qui che si innesta la corresponsabilità europea, tramite i programmi di austerità chiesti da Bruxelles, senza dimenticare che tra le condizioni del Pnrr è prevista anche quella, voluta dall’Ue, di un percorso di rientro del deficit che è semplicemente folle.
In che senso è folle?
In un momento di rischio recessione o di bassa crescita come quella di cui si parla nelle previsioni diffuse nelle ultime settimane si tagliano tramite inflazione i salari reali di tutta la Pa, come ho spiegato in una precedente intervista, rendendola paradossalmente ancora più mediocre e meno incentivata a performare. L’aumento della produttività che viene auspicato dal Governatore della Banca d’Italia e dall’Europa non si può fare coi fichi secchi, ma occorre investire, occorre pagare tanto le persone competenti per strapparle al settore privato. Purtroppo, invece, ci stiamo incartando nel solito circolo vizioso per cui l’Europa ci chiede di spendere meglio, noi non lo facciamo, l’Europa finisce per non fidarsi di noi e ci chiede di tagliare la spesa invece che riqualificarla. Il debito su Pil di conseguenza sale perché il denominatore crolla e, quindi, arrivano le richieste di maggiori tagli che colpiscono anche la Pubblica amministrazione peggiorandola.
Una situazione che nuoce in particolare all’Italia…
Questa perdurante situazione fa male anche all’Europa, perché più l’Italia diventa un Paese insicuro, più l’Europa diventa un continente insicuro. Quindi, c’è da guadagnarne sia da parte italiana che europea dall’uscire da questa palude in cui ci siamo ficcati. Purtroppo non si sono visti segnali incoraggianti in tal senso nel Consiglio europeo di settimana scorsa.
A che cosa si riferisce?
È stato raggiunto un accordo, un do ut des: il via libera, anche da parte italiana, all’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che favoriscono i Paesi virtuosi, come la Germania, in cambio della flessibilità sui fondi del Pnrr, con l’obiettivo di prorogarne la possibilità di utilizzo oltre il 2026. Si tratta di un accordo al ribasso che non risolve i problemi.
Anche perché così aumenta il divario tra Italia e resto d’Europa…
È evidente, è matematico. Agli altri Paesi si garantirebbe la certezza di poter attuare una politica fiscale espansiva, mentre l’Italia non avrebbe risorse aggiuntive, ma le verrebbe concesso di utilizzare quelle già previste in un arco temporale più lungo: è chiaro, quindi, che il loro impatto annuale sarebbe ridotto.
È strano che si sia voluto perseguire uno scambio che ci danneggia ulteriormente.
Attenzione, si tratta di uno scambio che non danneggia solo l’Italia, ma che fa male anche all’Europa, perché la miopia europea è non capire che uniti si vince e andando da soli si perde nel medio periodo. Se l’Italia va male, l’Europa va male, contiamo di meno a livello internazionale. Nei primi anni Duemila era la Germania a non andare bene e l’abbiamo aspettata, ora bisogna aiutare l’Italia. Se non lo si capisce ne perderà anche la Germania nonostante i suoi piccoli aiutini di Stato che pensa essere così importanti.
Qual è la strada per uscire dal circolo vizioso in cui ci troviamo?
L’Italia deve mettere sul piatto la riforma della qualità della spesa, non il taglio della spesa, ma la sua riqualificazione, così che ci sia fiducia in Europa su come spendiamo, in cambio di una riforma del Patto di stabilità che consenta ai Paesi in difficoltà o a bassa crescita di effettuare investimenti pubblici tramite una golden rule così da permettere al debito su Pil italiano finalmente di scendere. Questo è l’accordo necessario. È inutile chiedere all’Europa di poter fare più deficit se non garantiamo una spesa migliore ed è inutile chiedere all’Italia conti pubblici “sani” e capacità di spesa se non gli si dà la possibilità di fare investimenti.
Inutile senza questo passo chiedere un fondo sovrano europeo?
Nel momento in cui c’è in campo un’Italia diversa, che sa dire che è in grado di fare il proprio dovere internamente spendendo bene, credo si possano avanzare richieste di peso. Al fondo sovrano europeo, tuttavia, preferisco la riforma del Patto di stabilità, perché va al di là della contingenza che un giorno finirà. Non credo, però, che la situazione si potrà sbloccare finché permangono stereotipi reciproci.
Chi dovrebbe essere a fare il primo passo vero l’accordo che auspica?
Vista la mancanza di leadership presente in Europa, credo che potrebbe essere l’Italia a fare il passo in avanti annunciando un importante progetto di riqualificazione della spesa e di investimenti per rendere efficiente la Pa, soprattutto sul fronte degli appalti. Secondo me, l’Italia è capace di fare tutto questo e a quel punto si innescherebbero dinamiche che rilancerebbero Italia ed Europa in contemporanea. Ho l’impressione che l’attuale presidente del Consiglio più di altri abbia la capacità di comprendere la portata delle sfide e possa, quindi, prendere direttamente in mano questo cruciale dossier.
(Lorenzo Torrisi)
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