Nelle previsioni economiche estive diffuse ieri, la Commissione europea ha tagliato le stime sulla crescita dell’Eurozona per quest’anno e il prossimo, rispettivamente al +0,8% dal +1,1% di maggio e al +1,3% dal precedente +1,6%. La revisione al ribasso riguarda anche il Pil dell’Italia, che a fine 2023 dovrebbe attestarsi al +0,9% (invece che al +1,2% previsto quattro mesi fa) per poi scendere al +0,8% (rispetto al +1,1% precedentemente ipotizzato) nel 2024. Da Bruxelles arriva anche una conferma della crisi della Germania, il cui Pil quest’anno dovrebbe attestarsi al -0,4% per poi rimbalzare al +1,1% il prossimo. Di fronte a questo quadro, secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «sarà importante monitorare quello che accade in Cina».



Perché?

La Cina rappresenta il principale fulcro degli interscambi per i Paesi cosiddetti sviluppati e in questo momento è sull’orlo della deflazione. Con l’eccezione degli Stati Uniti, rappresenta l’elemento chiave per l’economia mondiale. Ne consegue che il suo rallentamento si sta scaricando principalmente sull’Europa.



La previsione così negativa per la Germania si spiega principalmente con quel che sta avvenendo in Cina?

La Germania ha saputo cogliere molto bene le opportunità offerte dall’apertura della Wto a Pechino. Ora, però, il modello su cui ha costruito la propria fortuna è in profonda crisi e questo influisce negativamente anche sul resto d’Europa.

Tra gli ulteriori rischi per l’economia, la Commissione europea indica anche la stretta monetaria. La Bce non potrà non tenere conto di queste previsioni in occasione della riunione del Consiglio direttivo di giovedì…

Credo che all’80% a Francoforte si seguirà il sentiero tracciato da Powell a Jackson Hole.



Cosa intende dire?

Il Presidente della Federal Reserve il mese scorso ha ribadito con determinazione che l’obiettivo resta quello di portare l’inflazione al 2%, escludendo, quindi, una possibile revisione al rialzo del target inflazionistico, anche se questo significa frenare un’economia che, a differenza di quella europea, finora è andata bene. Temo, però, che nonostante la diversa fase congiunturale, la Bce farà comunque un passo in linea con quello della Fed.

E sarebbe giustificata dal fatto che le previsioni sull’inflazione di Bruxelles (+5,6% nel 2023 e +2,9% nel 2024) indicano che il target del 2% è ancora lontano.

Sì. Credo che la Bce presterà più attenzione all’entità dell’aumento dei tassi, ma che questo comunque ci sarà. L’alternativa potrebbe essere una sorta di “pausa” per valutare come andranno le cose. Anche se sappiamo bene che è difficile riportare l’inflazione al 2% con la sola politica monetaria.

Anche perché, si avvicina l’inverno e, come si è visto recentemente, per gas e petrolio possono esserci aumenti repentini dei prezzi contro cui la Bce non può far nulla.

Esattamente. E questo fa riemergere un tema a me caro che fatica a trovare spazio nelle stanze di Bruxelles: la politica monetaria può certamente fare di più di quello che sta facendo adesso, ma non più di tanto. Fintanto che una qualche forma di politica fiscale europea non verrà delineata temo che rimarremo un po’ più a lungo in questa difficile situazione. Oltretutto la Germania potrebbe tornare a essere, come lo è stato diversi anni fa, il malato d’Europa e contagiare gli altri Paesi dell’Ue. Come si nota anche dalle previsioni di Bruxelles, c’è un rallentamento visibile dell’economia europea: può darsi che alcune isole felici rimangano, ma non ci conterei troppo.

Diventa allora cruciale la riforma del Patto di stabilità, tanto più che, secondo Bruxelles, “lo slancio di crescita più debole nell’Ue si estenderà fino al 2024”.

L’obiettivo del Patto di stabilità e crescita dovrebbe essere quello di favorire una convergenza tra le economie dei diversi Paesi e occorre prendere atto che dalla crisi del 2008 a oggi, salvo che per brevi periodi, questa convergenza non c’è stata. È fondamentale, quindi, che il nuovo Patto disegni un quadro di reale convergenza con una qualche forma di coordinamento delle politiche economiche.

Dato che non si intende mettere in discussione i parametri di Maastricht, una soluzione pratica potrebbe essere quella di inserire una golden rule per scomputare dal deficit gli investimenti pubblici?

Sì e credo anche che sia importante arrivare a superare la regola dell’unanimità per l’approvazione di alcune decisioni. Occorrerebbe, inoltre, individuare dei sentieri di convergenza chiari e mettere a punto degli stabilizzatori automatici a livello comunitario che si attivino non appena si entra in crisi senza che sia prima necessario avviare lunghi dibattiti e negoziati.

Il taglio della stima sul Pil italiano del 2024 non è certo una buona notizia, anche perché ci saranno ancora meno margini per la Legge di bilancio…

Ritengo che ora più che mai l’obiettivo di convergenza tra i Paesi europei vada perseguito considerando che nel Trattato di Maastricht si parla del principio di sussidiarietà. Questo, rispetto alla messa a punto di una manovra finanziaria, significa che occorre tenere conto delle caratteristiche di ogni Paese e che se si vuole perseguire la convergenza bisogna dar la possibilità a chi è più indietro di poter crescere un po’ di più. A mio avviso l’Italia ha la capacità e gli strumenti per riprendere un cammino di convergenza, compresa quella interna tra nord e sud. Il nostro Paese dovrà prendere le giuste decisioni, ma ci dovrà anche essere attenzione alle sue potenzialità da parte delle istituzioni europee.

(Lorenzo Torrisi)

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