La Commissione europea ha diffuso ieri le previsioni economiche estive che per l’Eurozona parlano di una crescita del Pil del 2,6% nel 2022 e dell’1,4% nel 2023. Come ricorda Domenico Lombardieconomista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «rispetto alle precedenti stime si osserva un calo più pronunciato dell’attività economica per il prossimo anno che non per quello in corso. A maggio, infatti, per il 2022 si stimava un +2,7%, mentre per il 2023 il dato era di +2,3%.



Questa tendenza la notiamo in parte anche per quanto riguarda le previsioni sull’Italia: rispetto a due mesi fa, c’è addirittura un rialzo al +2,9% dal +2,4% per il 2022, ma un taglio dal +1,9% al +0,9% per il 2023. In questo quadro macroeconomico va considerata anche la dinamica dell’inflazione, importante perché incide sul potere d’acquisto dei cittadini, sugli indicatori di fiducia e sulle aspettative di consumatori e imprese, oltre che sulle scelte di politica monetaria della Bce».



Cosa dicono le previsioni di Bruxelles a proposito dell’inflazione?

A febbraio la stima per il 2022 era pari al 3,5%, a maggio è stata portata al 6,1%, mentre ora si attesta all’8,4%: l’aggiustamento al rialzo è, quindi, piuttosto significativo. E ha implicazioni molto importanti, perché, come si è visto nel recente incontro dei ministri delle Finanze europei, si sta rafforzando la narrativa relativa alla necessità di combattere l’inflazione. Questo va, di fatto, a bruciare il terreno sul quale si era cercato di intavolare un discorso relativo a una nuova fase di aiuti straordinari a livello europeo: con un’inflazione così elevata, la possibilità di varare o anche solo di discutere di un nuovo Next Generation Eu perde definitivamente trazione.



Questo perché le risorse che verrebbero stanziate contribuirebbero ad alimentare ulteriormente l’inflazione?

Non solo. Era già emersa una certa freddezza da parte dei cosiddetti Paesi frugali sulla possibilità di replicare iniziative straordinarie come quelle messe in atto dopo lo scoppio della pandemia. È, dunque, difficile immaginare un aumento della capacità di spesa, anche se per investimenti, a livello europeo in questo momento. 

Cosa cambia invece sul fronte della riforma del Patto di stabilità, visto che si prevede un ulteriore rallentamento della crescita?

La dinamica sospinta dell’inflazione spingerà molti Paesi a chiedere di reintrodurre il Patto di stabilità ed è nostro interesse che ciò avvenga solo una volta che il Patto stesso sia stato riformato in modo che promuova non solo la stabilità fiscale, ma anche la crescita, che per l’Italia rappresenta la miglior garanzia sulla sostenibilità del suo elevato debito pubblico.

L’alta inflazione spinge di fatto a reintrodurre il Patto di stabilità così com’è?

Per quanto la genesi dell’inflazione in Europa sia strutturalmente diversa da quella americana, si va rafforzando anche da noi un consenso rispetto all’esigenza di inasprire la postura di politica monetaria e fiscale. In questo contesto, la possibilità di una riforma del Patto in senso più equilibrato tra stabilità e crescita si sta indebolendo e la discussione si andrà a sbilanciare sempre più sull’imperativo di garantire la stabilità piuttosto che sulla crescita. Abbiamo già visto, però, che con l’attuale Patto, ancorato formalmente sulla stabilità, in realtà non si ottiene né stabilità, né crescita.

Queste stime sull’inflazione spingeranno la Bce ad alzare ulteriormente i tassi, oppure si guarderà anche al taglio delle previsioni sul Pil?

Chiaramente questi dati non fanno che creare pressione a favore di un ulteriore inasprimento della stance di politica monetaria. Negli Stati Uniti gli analisti considerano che la Fed possa procedere a rialzi dei tassi al ritmo dell’1% e non dello 0,75% come precedentemente ipotizzato. La Bce si trova ad affrontare una situazione strutturalmente diversa, ma la dinamica sospinta dell’inflazione crea un terreno più agevole per coloro che chiederanno nella prossima riunione del Consiglio direttivo un ulteriore inasprimento della politica monetaria.

A settembre, quindi, il rialzo dei tassi da parte della Bce potrebbe essere di mezzo punto come già ipotizzato il mese scorso?

Esattamente, del resto Christine Lagarde in quell’occasione aveva spiegato che l’approccio è data dependent che non esclude rialzi a un ritmo più serrato di quello ipotizzato in prima battuta. Non sarei quindi sorpreso se la Bce cominciasse a inviare segnali in questa direzione già dalla prossima riunione del Consiglio direttivo.

Questo quadro europeo come si innesta su una situazione italiana particolarmente fluida dal punto di vista politico?

Credo che qualunque sarà l’esito delle dinamiche che stiamo osservando in queste ore la credibilità di questa maggioranza ne esca irrimediabilmente compromessa. Detto questo, però, agli occhi degli analisti, degli osservatori internazionali, è importante che l’Italia mostri sempre un senso di responsabilità in una situazione in cui ha chiaramente bisogno del sostegno di altri Paesi e delle istituzioni europee. A fronte della sua accresciuta fragilità, testimoniata non solo dai dati macroeconomici come quelli diffusi da Bruxelles, ma anche da quelli a più alta frequenza, è importante che prevalga la sensazione di un senso di responsabilità, condizione necessaria per poter continuare ad avere accesso ai mercati a condizioni favorevoli e poter contare sul sostegno di altri Paesi di cui l’Italia non può fare a meno.

Mostrare senso di responsabilità vuol dire evitare le elezioni anticipate?

Piuttosto che prorogare una situazione di inerzia, che il Paese non può affrontare, con un Governo sorretto da una maggioranza che, come vediamo in questi giorni, non è d’accordo su nulla, credo che sarebbe più saggio trarne tutte le indicazioni del caso e dare la parola agli elettori. In ogni caso, l’elemento dirimente è avere un Governo che, forte del suo sostegno parlamentare, sia in grado di portare il Paese verso traguardi ambiziosi.

Quali sono i dati macroeconomici a più alta frequenza cui ha fatto riferimento poc’anzi?

Le previsioni della Commissione confermano una serie di tendenze che erano già state osservate, ma trascurano alcuni ultimi, recentissimi sviluppi. Tra questi c’è la questione delle forniture di gas russo all’Europa, in particolare a Italia e Germania, i Paesi da esso più dipendenti. Come noto, il gasdotto Nord Stream è chiuso in questi giorni per la manutenzione annuale, ma persistono dei dubbi sulle modalità di ripristino delle forniture alla Germania e quindi sulle prospettive economiche legate a questo possibile evento sfavorevole. Alcuni istituti di ricerca tedeschi hanno ipotizzato un ridimensionamento significativo dell’attività economica, che potrebbe essere valutato anche in parecchi punti percentuali di Pil, nel caso Mosca dovesse significativamente ridimensionare le forniture di gas alla Germania. E questo ulteriore shock economico avverso potrebbe materializzarsi anche per l’Italia.

(Lorenzo Torrisi)

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