Da anni circola la battuta che l’auto fa il pieno di tasse non di carburante. E infatti il valore di un litro di carburante è costituito per il 58% dalla componente fiscale (accise e Iva). Ora con i rialzi del 10% alla pompa di benzina rilevati nella prima settimana del nuovo anno constatiamo con mano (o meglio, con il portafoglio) la metafora. In base ai numeri riportati dal portale del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica tra Capodanno e domenica scorsa, la benzina in modalità self ha registrato un incremento di 16,8 cent passando a 1,812 euro al litro, mentre il gasolio ha riportato un rialzo di 16 centesimi toccando 1,868 euro al litro. Questo è il “prezzo Italia” ovvero la media ponderata dei prezzi praticati dalle varie compagnie petrolifere distributrici sul territorio.



Questi aumenti riflettono il ripristino della tassazione piena dopo mesi in cui le accise sui carburanti sono state tagliate come misura per alleviare famiglie e imprese dai prezzi alle stelle della materia prima. Questa misura regressiva, in quanto ne beneficiano tutti senza proporzionalità alla capacità di reddito, distoglieva dalle casse dello Stato circa un miliardo di euro al mese. Dunque, un miliardo in meno da destinare “all’aumento del taglio del costo lavoro, dell’assegno unico per le famiglie con figli, del fondo sanità, all’allargamento della platea delle famiglie cui dare un sostegno per pagare le bollette, all’agevolazione di assunzioni”, come scrive la Premier Meloni sul suo profilo Facebook. La scelta temporale del Governo è stata suggerita dal calo del prezzo del barile di petrolio. Peccato che, come spiega l’analista Salvatore Carollo esperto di mercati delle materie prime, esiste un disallineamento tra il prezzo del greggio e quello dei suoi derivati dalla raffinazione. Questo perché la capacità di raffinazione, non solo in Italia ma nel mondo, fatica a coprire l’intera domanda del mercato.



Come mai vi starete chiedendo. Negli ultimi 10-20 anni, in nome della salvezza del pianeta, le politiche nazionali un po’ ovunque, non hanno solo disincentivato gli investimenti in impianti di raffinazione, ma si sono adoperate per rendere aleatorio ogni investimento in quelle attività. Tanto che ora scontiamo questo deficit con prezzi gonfiati e/o con file di giorni per un pieno come accade in Africa o Asia.

La speculazione, però. Questo stato il leitmotiv di molti in questi giorni quando social e giornali a caccia di un capro espiatorio, riportavano foto con prezzi fuori controllo sul tabellone di distributori: fino a 2,5 euro. Tanto da far scendere in campo la Guardia di Finanza per delle ispezioni. Ma a parte qualche caso di speculazione limitato, non si è riscontrato nulla di anomalo. Mentre per prezzi mediamente più alti riscontrati sulle autostrade, la spiegazione avanzata è da ricercare nei maggiori costi di gestione del punto di rifornimento e delle royalties da corrispondere al concessionario della tratta. Questo avviene giustappunto quando il Governo concede un +3% di aumento annuale del pedaggio ad Autostrade per l’Italia.



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