La polemica tra Ryanair e il Governo italiano ieri ha vissuto una nuova puntata. Per il fondatore del vettore low cost il decreto prezzi è “è un decreto stupido e idiota, che ridurrà i voli aumentando le tariffe”; Michael O’Leary ha anche dichiarato di aver già “ridotto i voli del 10% in Sardegna e lo faremo quest’inverno per la Sicilia”.



L’intervento del Governo italiano per calmierare l’incremento dei prezzi dei voli aerei non è in realtà un caso isolato né in Italia, né in Europa. Settimana scorsa il Governo e i rappresentanti delle associazioni della distribuzione hanno sottoscritto un protocollo di intesa per calmierare i prezzi di alcuni beni primari da ottobre a dicembre. Ieri Total ha esteso il tetto al prezzo della benzina in Francia, fissato a 1,99 euro al litro, fino a febbraio.



L’incremento dei prezzi, “l’inflazione”, è una questione politica sensibile per le famiglie e un problema sociale; più si scende nelle fasce di reddito e più ci si avvicina alle fasce di popolazione deboli, più il problema aumenta. Gli incrementi salariali negli ultimi mesi hanno riguardato solo una parte dei lavoratori. Molti hanno dovuto rivedere le proprie scelte di spesa, rinunciare ad alcuni consumi, abbassare la qualità dei prodotti acquistati. Anche in Italia, così come in Francia, la quantità di cibo consumata è in calo.

Nelle ultime settimane la cronaca si è occupata di alcuni casi eclatanti e probabilmente ingiustificati di rincari: gli ombrelloni, i bar o i ristoranti sono saliti agli onori della ribalta. Per un anno e mezzo i consumi sono stati “artificialmente” compressi dai lockdown e dalle misure decise per contenere il Covid; nel frattempo la politica monetaria e fiscale è stata espansiva. Alla riapertura si è avuta la somma di una domanda compressa e di risparmi in salita. In questo contesto e in una fase di ripresa economica sicuramente è stato facile, in molti settori, trasferire i maggiori costi sui clienti finali addirittura espandendo i margini. In Europa poi è arrivata la crisi energetica. Oggi i prezzi dell’elettricità sono almeno tre volte superiori a quelli del 2020.



Tentare di risolvere il problema calmierando i prezzi senza affrontare, per esempio, la crisi energetica o senza tenere conto della rivoluzione in atto nei commerci globali è una strada scivolosa. Il rischio è che le imprese rispondano a questi interventi riducendo le quantità e mettendo sul mercato solo quanto si può produrre restando sotto il livello fissato dal Governo. Ancora di meno ci saranno incentivi a aumentare la produzione, aggiungendo capacità, prendendosi il rischio, per esempio, di un aumento dei costi sul breve periodo. Alcuni periodi del giorno o dell’anno sono più remunerativi di altri, alcuni campi di gas hanno costi inferiori ad altri, alcuni campi di grano hanno rese maggiori di altri.

Il rischio in altre parole è che il Governo abbia “troppo” successo a calmierare i prezzi e si trovi, per rimanere nell’esempio francese, con il prezzo della benzina fermo a 1,99 euro al litro e i distributori vuoti alle 10 della mattina. La “soluzione” è facile, dà risultati immediati, è politicamente attraente, ma manca l’obiettivo vero. Se i prezzi dell’elettricità si moltiplicano per tre e ci si avvia, tra l’altro, verso un colossale programma di rivoluzione energetica non si può immaginare che la catena del freddo e i suoi costi non ne risentano pesantemente. Calmierare i prezzi in questo caso rischia di peggiorare il problema.

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