Il rincaro del prezzo del gas ha suscitato un’ondata di commenti sulle cause e sui provvedimenti politici per attenuare il costo per le famiglie. Si è letto tutto e il contrario di tutto e quindi anche noi vorremmo aggiungere tre spunti di riflessione.
Il primo è sull’incremento dei prezzi “internazionale” che riguarda tutti allo stesso modo e che piove su buoni e su cattivi siano essi nell’emisfero boreale o australe. Non è esattamente così. Il mercato del gas non è come quello del petrolio e per anni ci sono stati prezzi molto diversi in Asia, in Europa o negli Stati Uniti. Trasportare il gas per mare è costoso perché richiede rigassificatori, tutto sommato non particolarmente costosi, e liquificatori che invece costano tantissimo. Mentre il prezzo del gas in Europa, prendiamo per esempio il TTF “spot”, è salito di oltre sei volte rispetto a settembre 2020, quello “americano”, nello stesso arco temporale, di circa due volte. Anche il secondo è salito moltissimo, ma niente di lontanamente paragonabile a quanto successo in Europa. Sappiamo che gli Stati Uniti, ma anche la Cina e non solo, non hanno mai neanche lontanamente avvicinato il Vecchio continente nella lotta contro gli idrocarburi. La ragione è tutta spiegabile con il caro bollette che ci apprestiamo a pagare. Il Presidente della Fed ha detto chiaramente che “cambiare il clima” non è compito della sua banca centrale, mentre la Bce, notizia di ieri, si avvia a scrutinare i bilanci delle banche europee per misurare il rischio climatico. Vuol dire che trovare in Europa una banca disposta a finanziare un progetto energetico tradizionale sarà complicato. Giusto o sbagliato che sia la “strada è tracciata” e pazienza se qualcuno avrà la casa fredda.
Il secondo punto parte dalla conclusione “pessimistica” della riga precedente. In un report di Goldman Sachs pubblicato qualche giorno fa, riguardo al rischio che alla fine dell’inverno le scorte in Europa siano finite, si trova questa previsione: “L’unico meccanismo di riequilibrio sarebbe un ulteriore significativo aumento dei prezzi dell’energia e del gas in Europa che riflettano l’esigenza di distruggere la domanda, con la domanda di energia del settore industriale contenuta attraverso blackout”. In sostanza industrie ferme per contenere la domanda di gas e elettricità e prezzi talmente alti che la gente, “autonomamente”, deciderà di spegnere la luce e il riscaldamento perché il prezzo è troppo alto. Goldman Sachs ci “spiega” che molti cittadini europei per combattere il riscaldamento climatico rischiano di decidere di non far andare la lavatrice e di mettere due maglioni di lana in casa. Tutti assolutamente volontari in questa lotta per il bene dell’umanità. Un po’ come…
Il terzo punto è che uno dei principali produttori di fertilizzanti al mondo, CF Industries, ha spento due impianti di produzione di fertilizzanti nel Regno Unito tre giorni fa. I fertilizzanti si fanno con il gas che ha un costo troppo alto e quindi gli impianti chiudono. È una notizia interessante perché questa fermata sicuramente aiuterà il prezzo delle bollette degli inglesi, visto che la domanda di gas scende, però nel frattempo salirà quello dei fertilizzanti oppure quello dei prodotti agricoli; e comunque qualcuno nel frattempo ha perso il posto di lavoro.
La nostra civiltà industriale dipende dagli idrocarburi per tantissime aspetti che trascendono la mobilità, la luce o il gas. Quello che sta succedendo è che seduti sull’albero di un’economia basata sulla disponibilità di energia a basso costo, che ha regalato a noi e ai Paesi in via di sviluppo, come l’Italia degli anni ’50, benessere, si pensi segando il tronco di rimanere comodamente appollaiati sul ramo. La realtà invece è una caduta rovinosa.
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