La notizia del giorno nei mercati energetici europei è che i prezzi dell’elettricità in Germania sono tornati ai massimi dalla fine del 2022. In quei mesi, in un anno cominciato con l’invasione della Russia in Ucraina, i mercati elettrici entravano nei mesi invernali con la paura che venissero imposti blackout per calmare i prezzi. Dopo due anni i prezzi tedeschi hanno passato di nuovo i 200 euro a megawattora, cinque volte più alti di quelli dell’ultimo inverno normale prima del Covid e prima della guerra. In Italia non va molto meglio; oggi i prezzi dell’elettricità saranno vicini ai massimi degli ultimi 12 mesi.
Le ragioni di questa impennata, soprattutto in Germania, non sono un mistero; la produzione rinnovabile, eolica e solare, è ai minimi e alla Germania tocca compensare bruciando carbone e importando dai Paesi confinanti. Alcuni di questi Paesi garantiscono i consumi dei tedeschi grazie al nucleare che Berlino ha deciso di chiudere in nome del “green”. È in corso un prolungato periodo di assenza di vento e la foschia di questi giorni, peraltro come in buona parte del Nord Italia, limita il solare. 600 miliardi di euro, l’equivalente di decine di centrali nucleari, sono stati spesi dai tedeschi in rinnovabili per avere i prezzi dell’elettricità più alti d’Europa e la dipendenza dai Paesi confinanti. A nulla varrebbe, ovviamente, se la Germania avesse il doppio o il triplo dei pannelli o delle turbine; se non c’è il vento che ci siano una o mille pale eoliche non cambia il risultato. Certo, si potrebbe sperare nelle batterie o nella produzione di idrogeno verde per stoccare l’energia in eccesso, ma queste due tecnologie non sono mature e comunque i loro costi non saranno compatibili con la sopravvivenza del sistema industriale tedesco ancora per molti anni.
L’altro ieri il Wall Street Journal, dall’altra parte dell’Atlantico, ci ha dato una notizia. Il collasso della coalizione di governo tedesca, secondo il quotidiano americano, sarebbe una conseguenza di una faida interna sulle strategie energetiche. Il peccato del ministro delle Finanze Lindner sarebbe quello di aver pubblicato un report in cui si sosteneva che l’aggressiva trasformazione energetica della Germania non sia economicamente sostenibile e che dovrebbe essere sostituita con un programma di poche tasse e poche regole. Tutto il contrario del programma attuale, che è stato fatto proprio dall’Unione Europea con un proliferare di regole invasive, come quelle sulle emissioni delle case, e di tasse, come quella sulla CO2, che oggi rappresenta il 20% del costo dell’elettricità.
Secondo il quotidiano americano, evidentemente ben informato, la crisi sarebbe anche da mettere in relazione alla decisione della Corte costituzionale tedesca dell’anno scorso. Secondo i giudici, i costi dei sussidi che il Governo tedesco ha deciso di approvare per alleviare la bolletta energetica devono essere inclusi nel deficit pubblico. Questo significa che ogni euro speso per abbassare la bolletta delle fabbriche deve essere tolto da altre voci; altrimenti si sfora il deficit.
L’intera politica energetica europea e tedesca nasconde un grande “non detto”. Per evitare di dare scuse a chi non vuole la transizione occorre bruciare i ponti, smettere di estrarre gas, imporre sanzioni a tutti, chiudere le centrali in modo da escludere qualsiasi ripensamento; la rete di sicurezza di questa scommessa sono i risparmi e le imprese. La realtà però oggi presenta il conto alle maggiori potenze industriali del continente, che si sorprendono a fare i conti con il fatto che nessuno garantisce che ci sia vento o sole, soprattutto in Germania e soprattutto a novembre. Più i prezzi dell’elettricità rimangono alti, più le imprese prenderanno decisioni dolorose sugli stabilimenti. Questa è la parte nota. La parte meno nota è che se dovesse vincere Lindner alle prossime elezioni tedesche rischia di aprirsi un altro fronte; non solo quello tra una Commissione che vuole fare debito comune e un Governo che non vuole, ma anche tra un Paese che non vuole più una certa transizione e una Commissione che vuole raddoppiare.
Quanto accade in Germania è comunque importante soprattutto alla luce del dibattito in Italia, schiacciato su una transizione senza se e senza ma ancora oggi fatta propria dai principali gruppi energetici nazionali.
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