“Il petrolio è sceso sotto zero! Ora ti pagano per comprarlo!”. Una notizia che non poteva che generare scalpore: per la prima volta nella storia, “l’oro nero” arricchiva chi lo comprava, non chi lo vendeva. Prevedibile una corsa all’acquisto con conseguente rialzo del prezzo, come succede sempre quando aumenta la domanda. Infatti, il prezzo che era crollato lunedì a -37 dollari circa a gallone, il giorno dopo già quotava in territorio positivo, sia pure solo qualche dollaro.



Il punto è che la legge della domanda e dell’offerta non c’entra nulla, o meglio, è dietro al calo del prezzo del petrolio iniziato con il rallentamento generale dell’economia iniziato con la diffusione del coronavirus. La pandemia ha fatto crollare il prezzo al barile dai circa 60 dollari di inizio anno agli attuali 20, ma il crollo di cui si parla non riguarda il petrolio in generale, bensì uno solo dei molti contratti presenti sul mercato.



Si tratta del future su WTI scadenza a maggio, cioè di un contratto per la consegna di petrolio a termine. Questi contratti a scadenza mensile sono firmati da utilizzatori del petrolio, come le raffinerie, ma sono oggetto anche di contrattazioni a carattere speculativo, come prodotti finanziari. Se necessario, possono essere portati al mese successivo, appunto con una compravendita sul contratto, con evidenti riflessi sul suo prezzo a seconda della prevalenza di acquirenti o compratori.

In questa occasione il crollo è stato determinato da un eccesso di offerta di prodotto, ma soprattutto dall’impossibilità di stoccaggio: infatti, le riserve di petrolio sono al massimo ed è difficile trovare ancora dove conservare ulteriori quantità. Perfino le petroliere sono utilizzate non più per il trasporto, ma per lo stoccaggio del petrolio.



Per quanto scioccante, la notizia non è stravolgente, perché riguarda solo il WTI, West Texas Intermediate, il referente americano per il mercato del petrolio. L’altro benchmark, il Brent del Mare del Nord, ha continuato anche per la scadenza di maggio a quotare attorno ai 20 dollari. Anche il future a scadenza giugno desta preoccupazioni per le stesse ragioni, ma per il momento sembra – la volatilità è elevata – oscillare tra i 12 e i 20 dollari per il WTI e sui 25/27 per il Brent. Quest’ultimo ha sempre avuto quotazioni superiori al WTI e in questo momento sta soffrendo minori problemi di stoccaggio.

L’eccessiva disponibilità di petrolio è dovuta non solo alla crisi da coronavirus, ma anche alla guerra dei prezzi scatenata dall’Arabia Saudita contro la Russia e, di conseguenza, gli Stati Uniti. I produttori di shale oil americani rischiavano di essere tra i più danneggiati da questa guerra e ciò ha spinto Donald Trump a cercare un accordo tra sauditi e russi. Accordo raggiunto un paio di settimane fa e che comporta la riduzione di circa 10 milioni di barili di produzione giornaliera, ma che non è servito a evitare la crisi, particolarmente grave per il petrolio americano. Ora pare che gli Stati aderenti all’accordo intendano anticipare i previsti tagli alla produzione, così da salvaguardare da altri crolli il future scadenza giugno e i successivi. Tuttavia, non è detto che bastino i tagli già programmati e si può supporre che l’attuale volatilità dei prezzi possa continuare a lungo.

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