So di non sapere, ma, accantonando l’intero aspetto socratico, sono allo stesso modo curioso (e probabilmente presuntuoso) nel voler ambire a conoscere e comprendere quello che potrei vivere tra qualche settimana oppure nei mesi a venire. Tutto questo: costi quel che costi. E proprio quest’ultimo aspetto – quello legato ai costi (futuri) – non ci può lasciare tranquilli. Inermi. Passivi. Il dato di martedì diffuso da Istat relativo alle stime preliminari sui prezzi al consumo nel mese di febbraio è ancora negativo e a dire poco scoraggiante. Nel consueto commento si legge: «A febbraio, per l’ottavo mese consecutivo, l’inflazione accelera, raggiungendo un livello (+5,7%) che non si registrava da novembre 1995. Sono i prezzi dei Beni energetici non regolamentati a spingere in alto la crescita, seguendo la fiammata di gennaio degli energetici regolamentati (insieme, le due componenti spiegano due terzi della variazione tendenziale dell’indice NIC)». È bene riprendere e sottolineare – così nessuno non potrà sapere – la parte finale: l’intera componente energetica «spiega i due terzi della variazione tendenziale dell’indice NIC (l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività)».
Ora, preso atto di questo indiretto rimando a un cinico nesso di causalità, preso atto della drammatica quotidianità sul versante bellico in Ucraina, preso atto di quanto ne consegue attraverso il continuo e conseguente incremento dei prezzi del petrolio, sovviene l’ovvio timore di poter intravvedere il nostro prossimo, e non molto lontano, futuro ovvero: un’inflazione italiana (e non solo) all’insegna di nuovi e pericolosi incrementi.
Importante e doverosa una specifica puntualizzazione sulla base di partenza a tale nefasto e potenziale scenario. Il livello delle quotazioni del petrolio (rif. Brent) vedono un significativo incremento iniziato in corrispondenza dei minimi dell’aprile 2020. Dagli allora circa 16 dollari, oggi, ci troviamo a leggere, ascoltare e argomentare (praticamente tutti i giorni) dei suoi impetuosi rialzi; grazie a tali dinamiche, e soprattutto a seguito delle più recenti, si può osservare un prezzo ormai oltre i 100 dollari a barile. Basta solo evidenziare come, da inizio anno, “l’oro nero” sia passato dalla soglia dei 78 dollari a, come indicato, “quota 100”.
A quanto potrà arrivare? Troppo presto per dirlo e, troppo aleatorio se non addirittura inutile, prevederlo. Adesso, quello che più conta potrebbe essere ricondotto “al quanto” tutto questo ci potrebbe costare: non solo alla cosiddetta pompa di benzina, bensì al nostro intero portafoglio.
Pertanto: considerando l’auspicio prudenziale di vedere stabili le attuali quotazioni del petrolio (poco oltre area 100 dollari), tenuto conto della citata sintesi presente nel “Commento Istat”, e analizzando inoltre l’intero paniere oggetto di rilevazione in sede di stima e calcolo del NIC (l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività), appare plausibile individuare una potenziale e continua crescita nei prossimi mesi fino al superamento di soglia 7,1% su base annua attraverso un primo e significativo incremento su base mensile (già a marzo) tra lo 0,7% e lo 0,9%.
Purtroppo, se questo effettivo nesso di causalità vedrà la propria conferma nelle prossime settimane, il nostro timore – oggettivamente – si concretizzerà enfatizzando, per una volta, lo sbagliato volere di rimanere ignoranti.
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