Ieri il prezzo del petrolio è salito per la prima volta a 50 dollari da febbraio. La “motivazione” ufficiale è che l’Opec si è accordata per un aumento della produzione inferiore a quanto previsto (solo 75mila barili contro le attese di 500mila barili). Oltre tutto sono circolati rumour sulle intenzioni dell’Arabia saudita di attuare tagli volontari alla produzione a partire da febbraio. Queste sono le “ragioni” di giornata che però avvengono in uno scenario “rialzista” che dura da diversi mesi nonostante molti settori siano ancora chiusi, il traffico autostradale e soprattutto aereo siano in netto calo e siano state annunciate nuove restrizioni che di certo non saranno positive per i consumi.
Se vogliamo rimanere in uno scenario “fondamentale” di domanda e offerta, allora dobbiamo aggiungere all’equazione sia l’incremento della produzione inferiore alle attese di ieri, positivo per il prezzo del petrolio, che il peggioramento dell’attività economica previsto nelle prossime settimane e nei prossimi mesi e negativo per il prezzo.
A questo punto vale quindi la pena chiedersi se possa esserci altro sotto la superficie a determinare il rialzo e potremmo rintracciare due possibili forze. La prima è che il settore delle materie prime sta offrendo da molti mesi molti casi di rialzo; pensiamo alle materie prime agricole, all’oro e in un certo senso anche all’esplosione dei Bitcoin. La liquidità dei mercati si indirizza verso questi settori e nello scenario attuale non è un segnale particolarmente positivo; siccome l’attività economica è anemica, per usare un eufemismo, questi rialzi sono probabilmente motivati dall’esigenza di trovare beni rifugio in un contesto in cui titoli azionari e obbligazionari forse viaggiano a livelli non del tutto giustificati dai “fondamentali” economico-finanziari.
La seconda forza che potrebbe sostenere il prezzo del petrolio, nonostante la debole attività economica, è la situazione geopolitica in Medio Oriente e nel Mediterraneo che si sta evidentemente surriscaldando nella disattenzione dei media occidentali occupati a leggere e commentare gli ultimi bollettini sulla pandemia a tempo pieno. Pensiamo alla Libia, all’attivismo della Turchia nel Mediterraneo, alle tensioni tra Arabia Saudita e Yemen o a quelle che circondano l’Iran. Segnaliamo, per esempio, che settimana scorsa due bombardieri strategici americani hanno sorvolato il Golfo Persico per la seconda volta dall’inizio del mese di dicembre in risposta a segnali di possibili attacchi dell’Iran contro alleati americani nella regione.
Più che una questione di fondamentali, di domanda per la ripresa economica o di tagli che alla fine potrebbero non esserci sembra una questione finanziaria, di ricerca di “beni rifugio”, e geopolitica in quella che potrebbe anche essere una forma di protezione o da scenari indesiderati nel Golfo o nel Mediterraneo o da improvvisi vuoti d’aria sui mercati finanziari.
Se l’attività economica si dovesse contrarre oltre le attese perché le restrizioni aumentano e invece il prezzo del petrolio dovesse continuare a salire nonostante tagli annunciati ma tutti da dimostrare, allora potremmo avere la prova che le ragioni non sono tanto nei fondamentali dei consumi e della produzione di petrolio quanto “a lato” nei mercati finanziari e nella geopolitica.