La domanda di petrolio diminuisce in Europa, ma cresce nei Paesi con economie emergenti. Basta guardare all’India e alla Cina. E il prezzo di questa richiesta lo paghiamo anche noi, nonostante in Europa la domanda stia diminuendo. Il Vecchio continente ha indicato la strada della transizione ecologica, ma nel resto del mondo non si va ancora in quella direzione. E per far diventare la transizione ecologica un fenomeno globale occorre una leva finanziaria, bisogna aiutare i Paesi emergenti spostando gli investimenti in quella direzione. Intanto, comunque, il petrolio mantiene un ruolo centrale per la nostra economia. Lo spiega Roberto Bianchini, professore a contratto di finanza infrastrutturale e direttore dell’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano Academic Fellow per la Bocconi e partner di Ref Ricerche.
Continuiamo a parlare di transizione ecologica, fonti alternative, però alla fine siamo ancora qui a dipendere dal petrolio e la domanda sul mercato è ancora alta. Il petrolio è ancora al centro di tutto?
Si sottovaluta il significato del termine transizione, per noi è quello che ci sarà nel 2050, in realtà la transizione è come ci si arriva. Non vuol dire che dall’oggi al domani non usiamo più le fonti fossili, ma che c’è un processo di riduzione graduale dell’utilizzo di queste fonti. Il petrolio è una fonte ancora utilizzata e qualsiasi tensione sul mercato petrolifero inevitabilmente si trasferisce sui prezzi. Probabilmente si trasferisce in maniera meno estrema di quello che sarebbe successo anni fa perché comunque una certa stagnazione della domanda di petrolio c’è stata nel tempo. Se si vanno a prendere i dati della Iea (International Energy Agency) nel tempo lo si vede.
Vuol dire che qualche anno fa in questa situazione il prezzo del petrolio sarebbe salito alle stelle ancora più di adesso?
Certo, molto più di adesso, infatti il mercato del gas ha reagito in maniera più estrema rispetto a quello petrolifero. Poi c’è un altro tema: il mercato petrolifero a livello di quotazioni è un mercato mondiale, ci sono differenze sulle quotazione del Wti e del Brent, però è un mercato sostanzialmente mondiale e c’è una grossa differenza di domanda di petrolio nelle diverse aree del mondo. In Europa è anni che c’è una stagnazione se non riduzione della domanda, mentre in altre aree, come i Paesi emergenti, questo non avviene. La transizione la vediamo focalizzata su obiettivi che però sono europei, non sono mondiali. Altri si stanno muovendo, la Cina ha implementato un sistema di emission trading, però con una velocità molto minore dell’Europa. Quindi è un po’ questa la discrasia: da un lato gli obiettivi sono quelli europei e comunque sono legati a quelli della transizione, dall’altro è l’Europa che sta facendo una transizione forte, non il resto del mondo.
La domanda forte che arriva dai Paesi non europei, comunque, influisce sul prezzo che paghiamo noi? Paghiamo di più il petrolio a causa della richiesta di altri?
Paghiamo la situazione sul mercato petrolifero, che non è solo europea, ma è una situazione mondiale, perché cresce la domanda in altre aree del mondo.
Ma la crescita di domanda del petrolio negli altri Paesi non rischia di vanificare tutti gli sforzi europei verso la transizione ecologica?
È un tema molto delicato. La Cina, ad esempio, ha già in programma lo sviluppo di capacità della generazione elettrica da fonti rinnovabili molto più che non da fonti fossili. I Paesi emergenti dicono: “Noi siamo disponibili alla transizione se però voi ci date una mano” in trasferimento tecnologico, in supporto finanziario.
Per cambiare fonti energetiche, quindi, i Paesi emergenti hanno bisogno di essere aiutati dal punto di vista finanziario?
Uno dei grossi temi della transizione energetica a livello mondiale non è solo quello di raggiungere gli obiettivi, ma anche di fornire ai Paesi emergenti gli strumenti, quindi il trasferimento tecnologico e anche il supporto finanziario. Uno dei temi cruciali è come far sì che la finanza aiuti e supporti la transizione nei Paesi emergenti.
Gli investitori a livello internazionale stanno già spostando i finanziamenti verso le fonti rinnovabili?
È un processo non immediato. È tutto un tema, se si vuole, di incentivi. In Europa la regolamentazione si sta muovendo affinché anche il sistema finanziario abbia i giusti incentivi per spostare gli investimenti. Negli Usa sta avvenendo in maniera più lenta ed è diverso anche l’approccio. In Europa è molto focalizzato sull’obbligatorietà, negli Stati Uniti è molto più opzionale, senza degli obblighi regolamentari. C’è sempre una discrasia tra quello che avviene in Europa e ciò che avviene negli altri continenti.
Però ci sono ancora grandi investimenti sulle fonti fossili.
C’è sempre maggiore attenzione alla transizione, ma non è un processo immediato. Se c’è un’interruzione di fornitura di gas o di petrolio non è che ne possiamo fare a meno oggi. Arriveremo a zero emissioni nel 2050, ma non è che possiamo rinunciare a investimenti in fonti fossili, perché nel frattempo quelle fonti servono. Sempre meno, però servono.
Ma gli investimenti sulle fonti fossili sono diminuiti?
In Europa sicuramente la tassonomia ha dato una forte spinta per ridirezionare gli investimenti. La tassonomia identifica per ogni settore quali sono gli investimenti che sono in grado di non danneggiare l’ambiente, sta spingendo in questo senso. La Bei (Banca europea degli investimenti) non finanzia più nessun investimento che non sia allineato alla tassonomia. È una banca pubblica, però lo sta facendo. Le banche commerciali tengono sempre più in considerazione la tassonomia.
Ma petrolio e gas ci servono ancora.
Dall’altro lato, si è visto ad esempio sul mercato gas, non è che possiamo dire “Oggi non ci serve più gas”. Vuol dire che anche sul lato investimenti devo stare ben attento a non incentivarli troppo, ma non posso neanche fare a meno degli investimenti in quelle fonti. In questi settori gli investimenti vanno a cicli, quando il prezzo cresce molto c’è un incentivo agli investimenti che vengono fatti, poi c’è una situazione di over supply e il prezzo scende, gli investimenti si riducono. Per un certo numero di anni non vengono fatti e poi ricominciano. Su questo si monta la transizione. Sono dinamiche piuttosto complesse.
Quali sono le aree adesso che puntano ancora sul petrolio e fanno aumentare la domanda a livello mondiale?
Sicuramente l’India, poi la Cina: lì, nonostante il programma relativo alla capacità di generazione elettrica, la domanda c’è ancora.
(Paolo Rossetti)
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