Da lunedì è entrato in vigore l’embargo Ue all’import di petrolio russo via nave, insieme a un price cap pari a 60 dollari al barile (con la possibilità di revisione bimestrale) per il greggio Ural che riguarda anche i Paesi del G7 e l’Australia.
Quali conseguenze potranno avere queste misure, tenendo conto che da dopo l’invasione dell’Ucraina Mosca ha esportato comunque più di un milione di barili al giorno via mare verso l’Ue? «Certamente – ci spiega Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia – l’embargo danneggia indirettamente l’Europa, perché la diminuzione dell’import di greggio russo (resta possibile quello via oleodotto) farà aumentare il prezzo di quello di altra provenienza. A beneficiarne sarà, quindi, l’Opec».
Perché?
È vero che l’altro giorno l’Opec+ ha confermato la volontà di mantenere invariata la produzione, ma è come se fosse scattato un taglio automatico nei confronti dell’Europa, visto che uno dei Paesi membri, la Russia, potrà esportare meno in quell’area. E gli altri produttori, a cui l’Ue dovrà per forza rivolgersi, guadagneranno di più.
Zelensky ha detto che fissare il price cap sul petrolio russo a 60 dollari al barile non è una decisione seria. Ha ragione?
In effetti, non solo le quotazioni internazionali del petrolio sono oggi intorno agli 80 dollari al barile, ma il prezzo dell’Ural varia tra i 58 e i 65 dollari al barile, quindi il price cap non sembra essere particolarmente severo. C’è inoltre da dire che nell’Ue si può comunque acquistare greggio russo destinato a triangolazioni con Paesi terzi, purché sia rispettato il cap.
Come funziona questo tipo di triangolazione?
Una società di uno dei Paesi Ue può acquistare il petrolio russo, purché sia rispettato il price cap e purché poi il greggio vada a finire in un Paese dove non c’è embargo. Lo stesso vale per la fornitura di servizi e assicurazioni per il trasporto destinati a operazioni di questo tipo.
In effetti, verrebbe proprio da chiedersi a cosa serva in Europa un price cap per un prodotto su cui vige un embargo.
Non va dimenticato che ancora si può importare via oleodotto. A questo serve il price cap, oltre che a rendere possibili le triangolazioni di cui ho appena parlato. In ogni caso va anche detto che volendo l’embargo via nave non è così difficile da aggirare: se una petroliera arriva in porto europeo da un Paese che non è la Russia, come si fa a essere sicuri che non trasporti petrolio russo?
Alla fine, quindi, non c’è un forte danno economico per la Russia.
No. Tra l’altro negli ultimi otto mesi Mosca ha registrato la più grande esportazione di greggio degli ultimi anni. Anche se dovrà diminuire un po’ la quota di produzione, con il prezzo di vendita superiore nei Paesi esterni all’accordo sul price cap, riuscirà a ribilanciare la situazione. Non è poi detto che debba ridurre la produzione se aumenterà l’export verso la Cina e altri Stati che non applicano sanzioni.
Oltre all’export di petrolio è aumentato anche quello di GNL russo diretto in Europa.
Sì, è così. Per quanto riguarda la produzione di idrocarburi non si può dire che la Russia abbia subito danni particolari dalle sanzioni.
In Italia possiamo invece dire che senza l’embargo scattato ieri non si sarebbe nemmeno creato il problema della raffineria di Priolo.
A Priolo è successa una cosa al limite dell’incredibile. La raffineria è di proprietà della russa Lukoil, ma non può acquistare più petrolio russo e non può ricevere finanziamenti dalle banche, viste le sanzioni in atto, con cui acquistare altro tipo di greggio. Adesso lo Stato ha deciso di intervenire, ma non per gestire il polo, ma per aspettare che arrivi un acquirente.
Chi potrebbe comprarlo?
In realtà, ci sarebbe da chiedersi perché lo Stato italiano deve far vendere una raffineria che non è sua. In Germania c’è stata una nazionalizzazione delle raffinerie Rosneft, qui invece non si capisce perché c’è da attendere un acquirente.
Quindi, l’Italia non ha adottato una decisione come quella della Germania…
No. In Germania si è scelta la nazionalizzazione, in Italia sembra si voglia procedere a una sorta di traghettamento, ma chi può essere interessato a una raffineria? I margini sono bassi, servono investimenti, quale fondo entrerebbe in un business del genere? Eni, dal canto suo, ha già investito per creare le cosiddette bioraffinerie, quindi l’acquisizione del polo di Priolo rappresenterebbe un notevole passo indietro rispetto alla sua strategia industriale. Non dimentichiamo poi che esiste un’inchiesta per disastro ambientale pendente sul depuratore Ias che è anche sotto sequestro.
Nel frattempo abbiamo assistito una nuova salita del prezzo del gas: il Ttf è arrivato vicino ai 150 euro MW/h.
Il gas sta continuando a salire, come pure le bollette, visto che sono stati accesi i riscaldamenti. Ho anche notato che in alcune attività commerciali si è scelto di usare pompe di calore o bruciatori industriali elettrici per evitare di pagare bollette del gas troppo salate. Il problema è che il prezzo del gas si è stabilizzato sui livelli che restano alti: anche tagliando i consumi, le bollette restano molto più elevate rispetto a un anno fa. E i prezzi dei beni al consumo continueranno a incorporare questo aumento dell’energia, sperando che non ci siano nuovi picchi. Di conseguenza, si riduce il potere d’acquisto delle famiglie.
E questo problema l’Europa non l’ha ancora affrontato e risolto…
Su questo terreno l’Europa sta studiando o attuando manovre che si capisce essere per niente efficienti. Anzi, come si vede nel caso del petrolio, continuano a far danno all’Europa stessa. Vedremo poi cosa accadrà dal 5 febbraio, quando scatterà l’embargo anche per i prodotti raffinati russi, che vengono usati da molte raffinerie in Europa.
(Lorenzo Torrisi)
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